Compratevi una buona stampante, datemi retta …

C’era una volta Splinder, ricordate? Il luogo dove molti hanno cominciato: e dove molti, come la sottoscritta, sono rimasti fino alla triste conclusione, lo scorso 31 gennaio. Della fine ingloriosa di Splinder  si è parlato molto, sin dai primi annunci di agonia, ma con tono rassegnato: è la dura legge del mercato, se un’attività, per quanto nobile,  non è più redditizia, è condannata. E poi oggi va molto di moda  dire che l’attività di blogging è morta o moribonda, assassinata dai social network, quindi la fine di Splinder sembra  inscritta, teleologicamente, nei destini immutabili della Rete (sebbene  i più accorti dubitino che i blog siano destinati a definitiva scomparsa)

Splinder è ormai defunto, sacrificato sull’altare del business (o forse del cattivo business). Ce ne siamo fatti una ragione e gli splinderiani più accorti, con un po’ di sforzo e qualche imprecazione di troppo per gli inevitabili disguidi tecnici, si sono trasferiti altrove. Ma non mi pare che si sia riflettuto a sufficienza sulle implicazioni.

Prima di tutto Splinder era una comunità, nella quale molti avevano, nel corso degli anni, intrecciato rapporti e legami di varia natura. Possiamo sperare di ritrovarci altrove, prima o poi, ma resta il fatto che quella comunità, una vera e propria cittadella digitale, è stata cancellata di botto, con tutto il suo carico di umanità, relazioni, amicizie. L’ultimo bel momento è stato lo scambio di informazioni, dritte, suggerimenti, per migrare altrove nella maniera più indolore possibile. E poi, bye bye, ci vediamo baby, da qualche parte, se capita.

In secondo luogo la Rete è fatta di link, di rimandi, di credibilità e visibilità faticosamente acquisite nel tempo, di contenuti condivisi e riferimenti incrociati. Un taglio netto ha reciso la rete di informazione e conoscenze che era cresciuta attorno ai blog ospitati su Splinder: che non erano tutti inutile fuffa autoreferenziale. I padroni di Splinder non hanno affatto considerato che quei contenuti avevano comunque un valore.  Chissà, magari potevano avere anche un valore economico, se solo ci fosse stata una visione più lungimirante e, forse, più ardita. Comunque, nei casi più fortunati il materiale è stato trasferito altrove ma di fatto è diventato difficilmente reperibile. Per quanto mi riguarda, ad esempio, visto che mi ero conquistata in nove anni di attività online un buon numero di citazioni, trovo estremamente frustrante che quei link ora rimandino al nulla. I miei contenuti sono tutti ancora disponibili, ma nascosti nei meandri della Rete. Fra l’altro, per difficoltà con il database ospitato da Tophost (che non reggeva la quantità), ho dovuto ripubblicare i vecchi post in un blog appositamente creato su wordpress, al quale sono stata costretta ad attribuire un altro nome (approssimazioni.wordpress.com): ci si arriva direttamente anche da qui (nella scheda “L’altra vita di Floria”) ma è evidente che si tratta di una soluzione pasticciata, buona giusto  a gratificare la mia nostalgia.

Infine. Si tratta dell’ennesima dimostrazione di quanto sia illusoria la nostra fede nell’autonomia e nella libertà della Rete. In verità non ci rendiamo conto che, affidandoci a qualsiasi piattaforma, con un account free o pro non conta, regaliamo ad altri i nostri contenuti: possiamo essere serenamente sfrattati dalle nostre dimore digitali, che non ci appartengono, con un preavviso breve o nullo. E’ successo con Splinder, potrebbe succedere, un domani più o meno remoto, con wordpress, con blogspot, con twitter o con facebook. MI illudevo di mantenere il controllo, non postando contenuti originali e complessi su Facebook, limitandomi alla condivisione dei link, visto che so benissimo che il mio account potrebbe essere disattivato da un momento all’altro per un capriccio del padrone di casa. Bene, quello che temevo è accaduto proprio su Splinder, nel luogo dove, magari ingenuamente (perché certi sintomi poco felici dovevano mettermi sull’avviso), credevo di essere al sicuro. E invece l’ad di Dada,  un tale Claudio Corbetta che non avevo mai sentito nominare fino ad allora, ha pensato bene che le mie parole, insieme a quelle di qualche migliaio di utenti, valessero meno di zero, visto che non rientravano in alcuna illuminata strategia aziendale. Non siamo persone, bella gente, siamo mercanzia.

Permettetemi un salto logico, ma prometto che non mi allontanerò più di tanto dal tema. Ora è il momento del cloud computing, Qualche anno fa Richard Stallmann sottolineava energicamente i rischi della computazione remota di massa. Bene, i buoi sembrano ormai fuggiti dalla stalla e in un modo o nell’altro questa appare la tendenza del futuro, per i privati, per le aziende, per le pubbliche amministrazioni. Beh, accetto il trend, anche perché non si può fare altrimenti, ma non mi sento tranquilla. Affidare in tutto e per tutto la propria identità digitale (che è una bella fetta dell’identità tout court) ad aziende ed architetture tecnologiche, nonché a modelli di business e a strategie di marketing, che non è possibile controllare, non mi pare questa gran pensata.

Salvo in locale quello che mi interessa, anzi, per non sbagliarmi, addirittura lo stampo e lo archivio in casa mia (di mattoni), nei miei scaffali (di legno). Non frega niente a nessuno, non sarà tramandato comunque nei secoli, ma forse qualcosa arriverà ai miei nipoti (magari assieme ai miei vinili e alle videocassette che non ho gettato). Come quella meravigliosa valigia dove erano state riposte e dimenticate le lettere che i miei genitori si sono scambiati dal 1940 in poi: la carta ormai è fragile ed intaccata dall’umidità, ma le parole si leggono ancora e quel pezzo di vita non è andato del tutto perduto. E sì che allora c’era la guerra.

 

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5 risposte a Compratevi una buona stampante, datemi retta …

  1. Ale- scrive:

    Ok.
    Però certe cose s’annusano.
    Che Splinder fosse una piattaforma del cazzo (con risp. parl.) ti s’era detto e ridetto con abbondante preavviso e in tempi non sospetti.
    Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. Altro che stampante; la regola d’oro dell’informatica è “fai i backup”. Il primo corollario recita “falli davvero”. il secondo “falli PRIMA del crash”.
    Stallman (con un N sola) per quanto gli voglia bene c’ha comunque una bella botta e ogni tanto fa delle sparate tali che non sia proprio un ottimo termine di paragone per niente di serio. Tuttavia l’opinione sul cloud computing la condivido al 100%.
    Fanculo alla cloud, voglio il MIO backup sul MIO hd RAID1. Lo voglio anche quando non ho una connessione. E lo voglio IO, non iPippo o DropPluto.
    E nel formato che pare a ME, per di più.
    Poi, a mirrorare conenuti sulla piattaforma meno idiota, ci penserò di volta in volta.
    Ovvio: SE ne avrò voglia. Tanto, il mio contributo in tutto questo casino di informazioni vere o false con sfumature fuzzy tra 0 e 1, è del tutto superfluo 🙂

  2. melo scrive:

    non dar retta a Ale e recita più spesso il credo di sant’iGNUcius, vedrai i dati non li perdi… (ah già, ma te ciai un mèc :P)
    la stampante poi, è un modo come un altro di fare i backup. magari un tantino poco pratico, ma in caso di sfratto funziona. non funziona per i link, peccato. e per la visibilità. e per mantenere i contatti che si sono creati col tempo. in aggiunta ai backup locali, a quelli su server esterni e alla scelta di piattaforme migliori di quelle che che – ci tengo a ricordarlo – si chiamavano come il maestro-tarpone delle tartarighe ninja (quasi).
    condivido i serissimi dubbi sul cloud comupting. comunque
    p.s. sarebbe interessante inserire la possibilità di essere informati (via mail) in caso di nuovi commenti a un dato post (di solito dopo che si è commentato). su WP si può fare, e IMHO aiuta a seguire le discussioni (non i flame, come quelli che inizio io rompendo le scatole 😉 )

  3. floria1405 scrive:

    Che io sia stata un po’ fessa per quanto riguarda Splinder è vero: voialtri me lo dicevate di cambiar aria, io non lo facevo un po’ per pigrizia, anche perché dei famosi disservizi degli ultimi tempi non ne avevo risentito più di tanto e tutto sommato la piattaforma funzionava decentemente per quanto mi riguardava, un po’ per non perdere, appunto, le posizioni acquisite, le indicizzazioni e roba così. Detto questo, alla fine sono stata costretta a migrare e se pure c’è stato un po’ di casino ho risolto tutto da sola, grazie, appunto, ai vari suggerimenti che trovavo in Rete e a un minimo di esperienza pregressa (WordPress è un altro mondo, è vero, anche se qualche guaio di troppo con il database di Tophost mi spinge a non esagerare con i widget: mi sa che presto o tardi dovrò cambiare hosting, magari pagando di più la maggiore tranquillità). Ma non per tutti è andata così. C’erano quelli, ed erano molti, che di backup e finezze varie non ne sapevano niente, che si limitavano a scrivere fidandosi del fatto che la rete sia come un blocco di appunti, mica devi fabbricare la carta e l’inchiostro per buttar giù qualche pensierino. E sono rimasti spiazzati: ci sono alcuni, magari poco assidui, è vero, che si sono accorti della chiusura di Splinder “dopo” il 31 gennaio, e hanno perso irrimediabilmente tutto.
    Quello che volevo sottolineare, e spero si sia capito, è l’abisso che esiste fra le pratiche usuali della Rete, quelle che ci portano a sputtanare i fatti nostri coram populo e/o archiviare i nostri materiali in un qualunque aleatoria “nuvola”, e gli intenti dei veri padroni di Internet, che ci considerano per un motivo o per altro carne da macello da sacrificare sull’altare del business e del marketing (poi sulla vicenda Splinder ci sarebbe da dire molto sulla miopia tutta Italiana di chi a suo tempo acquistò Dada – RCS per la precisione – e poi ha lasciato lentamente appassire un servizio che a suo tempo fu una vera innovazione tutta made in Italy)
    Infine: difendo comunque la carta, perché, ahimè, anche gli hd si rompono, i supporti digitali evolvono (quanti floppy ho buttato durante il trasloco!), gli standard mutano, e non sempre le compatibilità resistono.

  4. floria1405 scrive:

    Bada ganzo, comincio ad usare posterous con una certa regolarità e scopro che me l’hanno venduto a twitter, che stamani è down, senza contare la mail che mi annuncia la cessione, mi avverte che mi saranno date indicazioni per il backup dei dati e sotto sotto mi esorta a guardarmi attorno per cercare eventualmente altro servizio similare (anche se il fondatore di Posterous si definisce “thrilled” per l’acquisizione: e ti credo, vorrei sapere quanti soldi si è intascato!)

  5. melo scrive:

    gli HD si rompono, e difatti ale ha parlato di “i backup”, non “un backup”
    direi che a breve-medio termine con 3-4 copie digitali locali e un paio di upload su server si può stare ragionevolmente tranquilli. poi alla paranoia non c’è limite.

    diverso il discorso se si ragiona a lungo termine, su tempi storici. lì la carta diventa più sicura, ma è anche vero che non auguro a un ipotetico storico o archeologo del futuro di trovarsi a esaminare tutti gli sproloqui pubblicati sul web 😀

    meno servizi, più affidabili e meglio conosciuti e approfonditi, è un buon sistema per seguire la buona vecchia regola del “quel che non c’è non può rompersi” e essere in grado di aggiustare da sé quel poco che si ‘rompe’. certo, con un compiùter senza nemmeno le viti per smontarlo… 😉

    credo (ma non sono sicuro) che il sistema di avviso per i commenti successivi al proprio su WP sia un’opzione della piattaforma, e non un widget, se è a quello che ti riferivi.

    sul fatto che siamo (trattati come) consumatori e non persone, ti segnalo un post su giap di qualche tempo fa, (con relativa chilometrica discussione):
    http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=5241
    Interessante in particolare il paragrafo “Intelligenza collettiva, lavoro invisibile e social media” sul (teorico?) sfruttamento del lavoro da parte di FB, come esempio di uno dei tanti modi in cui siamo analizzati, trattati, sfruttati. mercato & consumatori VS società e persone, insomma.

    [andai nei boschi perché volevo vivere con saggezza e in profondità…
    ma soprattutto a fare castagne per il toppone]

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