Demagogia scolastica: dobbiamo credere a Babbo Natale?

Il 15 dicembre, pare, saranno presentati ufficialmente i risultati della megaconsultazione renziana sulla scuola. Nell’attesa il Ministro Giannini ha annunciato che nella nuova e buona scuola che verrà, diminuiranno i compiti a casa: il che, intendiamoci, sarebbe un bene, per i motivi che spiegavo nel mio post «Basta compiti! E no alla conoscenza come penitenza».  Solo che un’affermazione del genere, buttata lì come per caso, con il sorriso sulle labbra e la voce impostata da signora toscana della buona società, puzza di demagogia lontano un miglio. Per ragioni simili e simmetriche a quelle che spingevano la Gelmini all’elogio del grembiulino e della severità delle valutazioni. Il premier Renzi, intanto, favoleggia di «una carica dei mille» che dedichino «tempo» alla riforma, per allargare il consenso intorno al progetto: non male come mossa propagandistica per nascondere il sostanziale flop di partecipazione e coinvolgimento nelle iniziative promosse online (come, fra le righe,  nota il sovversivo Corriere della Sera).

 

Guai ad ascoltare le critiche. Guai a prendere atto delle 200 delibere (ufficiali) di collegi dei docenti che respingono fermamente la cosiddetta «Buona Scuola». Guai, e questo vale anche per i media, a ricordare che esiste una Legge di Iniziativa Popolare (alternativa al piano Renzi-Giannini) che vanta una partecipazione ampia e di sicuro più qualificata rispetto ai numeri farlocchi della «Buona Scuola» renziana, sbandierati dal Miur e presi per buoni dall’informazione ufficiale. La voci di dissenso non solo non vengono ascoltate, ma sono sbeffeggiate e messe a tacere. Leggete, a questo proposito, come sono stati accolti i docenti che si sono presentati il 28 novembre scorso al Miur per consegnare agli organi competenti la loro contrarietà motivata al piano di riforma.

Si fa l’occhiolino all’elettore, sventolando  la promessa di una scuola meravigliosa, dove insegnanti sorridenti, aggiornatissimi, sensibili e premurosi si faranno carico per intero delle necessità dei pargoli, adottando modalità didattiche innovative, brillanti e pressoché miracolose, ma si glissa elegantemente sui costi che un simile idillico quadretto implicherebbe. Insomma, va bene che è dicembre, ma il Ministro Giannini  e il suo boss Renzi) non mi sembrano proprio Babbo Natale. Peraltro io, a Babbo Natale, non ci credo più da un pezzo.

La scuola italiana è un universo caotico e contraddittorio che, fra l’altro, deve fronteggiare una situazione drammatica da molti punti di vista, come testimonia l’ultimo rapporto di Save the Children sulle condizioni dei bambini e degli adolescenti in Italia (il 13,8 % dei minori in Italia, pari a un milione e 400.00, vive in condizioni di povertà assoluta).

Ma la povertà dei minori in Italia non è solo materiale. Tre milioni 200 mila bambini e ragazzi tra 6 e 17 anni (il 47,9% del gruppo di età) non hanno letto un libro nel 2013 e circa 4 milioni (il 60,8%) non hanno visitato una mostra o un museo. Non viaggia né si apre a nuovi mondi e persone il 51,6% di under 18 che vive in famiglie che non possono permettersi nemmeno una settimana di ferie l’anno lontano da casa. Lo sport grande assente nei pomeriggi del 53,7% degli adolescenti (15-18 anni), che non fanno alcuna attività motoria continuativa nel tempo libero. Pomeriggi non occupati neanche da attività scolastiche dato che, nella migliore delle ipotesi, il tempo pieno c’è solo nel 50% delle scuole elementari e medie di alcune regioni, con picchi in negativo in regioni quali Campania (con il 6,5% delle scuole primarie a tempo pieno) o Calabria.

Il lavoro degli insegnanti, in un contesto così difficile, è fondamentale e dovrebbe essere adeguatamente valorizzato ed incentivato, anche economicamente. Sappiamo che così non è. E sappiamo anche che le proposte sul tappeto sono risibili e umilianti (a partire dalla ridicola ipotesi meritocratica, che prevede di abolire gli scatti stipendiali di anzianità a favore di un meccanismo che, in realtà, finisce per penalizzare le retribuzioni di tutti, bravi e meno bravi).

Qualunque intervento per rendere più efficace ed efficiente l’azione educativa, a partire dall’ipotesi di prolungare l’orario di apertura delle scuole e di pretendere dai docenti un relativo aumento del  numero di ore trascorse sul luogo di lavoro, non può essere realizzato a costo zero, ma necessita di investimenti, anche piuttosto consistenti: per quanto riguarda un’autentica valutazione e valorizzazione del merito (quello vero, però, non quello truffaldino delineato dal documento renziano); per quel che concerne l’edilizia scolastica, gli arredi e i sussidi scolastici; per quanto attiene alla formazione e all’aggiornamento dei docenti.

In ogni caso, tutta questa faccenda della #Buonascuola, della consultazione online, della «carica dei mille», delle modalità di comunicazione e di ascolto del premier e dei suoi sodali, Faraone e Giannini, è solo una parodia tristissima della democrazia, che nasconde, in realtà, un intento palesemente autoritario e demagogico (populismo 2.0?). Vale per la scuola, vale per tutto il resto. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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