Dove si nasconde la trappola (Oilproject capitolo 2)

[Riassunto della puntata precedente.

a) Il progetto Oilproject viene mediaticamente decantato come il futuro dell’educazione targata web, la strada italiana verso l’innovazione. 

b) In realtà si tratta dello scimmiottamento un po’ maldestro e approssimativo di esperienze americane che, per quanto spesso discutibili, vengono svolte con ben altri mezzi economici e organizzativi.

c) il motto “tutti liberi di insegnare, tutti liberi di imparare” sottintende un modello culturale che di fatto sancisce l’irrilevanza dei docenti professionisti. Il che, in una fase  politica ed economica come quella odierna, è estremamente pericoloso. Senza contare che in un contesto dove tutto o quasi viene monetizzato, il presupposto che competenze faticosamente acquisite e mantenute debbano essere “messe sul mercato” gratis, per amore della gloria, di fatto le svaluta (e svaluta i contenuti che esse veicolano).  

d) In più, non è vero che si tratta di una novità assoluta in Italia, perché anche nel nostro Paese sono in atto da anni, nelle Università e nelle singole scuole, grazie allo sforzo individuale mediaticamente poco o nulla riconosciuto  di molti insegnanti illuminati, iniziative e ricerche innovative nell’ambito del cosiddetto  web learning.

Detto questo, non è che voglio fare una crociata specificatamente contro Oilproject. Tutta questa storia mi serve fondamentalmente per due scopi: primo, dimostrare l’approssimazione dei media quando affrontano le tematiche educative (e quando si richiamano ad esperienze straniere senza valutarle con sufficiente attenzione); secondo, ragionare sui presupposti ideologici che stanno alla base di questa approssimazione e sulle loro conseguenze politiche. Se di fatto il Ministro benedice esperienze di questo tipo e allo stesso tempo impone ai docenti di lavorare di più senza pagarli di conseguenza, mi sembra che qualcosa voglia dire. O no?]

Esiste un altro aspetto, apparentemente più tecnico, che riguarda la disciplina della proprietà intellettuale e che peraltro giustifica ulteriormente la diffidenza che le istituzioni pubbliche, come le Università, hanno nei confronti di iniziative di questo genere. Sono andata a spulciare le Note Legali sui sito e mi sono fatta qualche domanda alla quale spero che gli esperti in materia vogliano dare qualche risposta.

Ipotizziamo che io, presa dal sacro fuoco della condivisione e messe da parte tutte le perplessità di cui sopra, apra un account sul sito e cominci a rendere disponibili al mondo i miei materiali, elaborati e caricati usando naturalmente i miei libri, il mio software, la mia connessione (e, ovvio, la mia competenza maturata in trent’anni di onesta professione).

La nota legale, al punto 6,  recita (grassetto mio):

Contenuti
Ogni titolare di un account Oilproject potrà inserire Contenuti.
L’utente dichiara di detenere tutti i diritti di proprietà sui propri Contenuti e di cederli a Oilproject Srl all’atto dell’upload; Oilproject si impegna, a tempo indeterminato, a rilasciare i suddetti contenuti al pubblico sotto licenza Creative Commons BY-NC-ND 2.5.
L’utente riconosce ed accetta di essere l’unico responsabile dei propri Contenuti e delle conseguenze del loro caricamento online o pubblicazione
Qualora dovesse venire a conoscenza di qualsiasi potenziale violazione dei presenti Termini, Oilproject Srl si riserva il diritto di decidere se i Contenuti si conformino con i requisiti previsti nei presenti Termini e potrà rimuovere tali Contenuti e/o inibire l’accesso di un utente al caricamento dei Contenuti che siano in violazione dei presenti Termini in qualsiasi momento, senza preavviso ed a sua esclusiva discrezione.

Il che mi pare un po’ vago.

Significa forse che di fatto io con l’upload perdo la proprietà intellettuale dei miei contenuti a favore della società erogatrice del servizio e che quindi non posso più utilizzarli autonomamente e liberamente? Quale valenza legale ha in Italia la licenza Creative Commons rispetto alla normativa vigente sul diritto d’autore? L’attribuzione della licenza CC richiesta va riferita all’autore materiale del contenuto o alla società che offre il servizio?  Cosa significa, nella pratica, l’espressione “a tempo indeterminato“? Che i contenuti saranno per sempre sottoposti alla licenza CC oppure che in un momento x la società in questione potrà modificare i termini della licenza, tanto i contenuti ormai sono suoi? E ancora: ogni merito ad Oilproject ed ogni responsabilità sui contenuti all’utente che, peraltro, non ne detiene più la proprietà?

Aggiungo. Visto che la società in questione può modificare unilateralmente i termini del servizio, qualora un utente decida di interrompere la propria  collaborazione, può chiedere la rimozione dei contenuti pubblicati o deve limitarsi alla semplice cancellazione dell’account? Vedi la seguente parte del contratto

3. Modifiche ai Termini
Oilproject Srl potrà effettuare periodicamente modifiche ai Termini, per esempio conseguentemente a modifiche a livello legislativo o normativo o delle funzioni offerte attraverso il Servizio. Di conseguenza, è consigliabile controllare periodicamente i Termini per verificare eventuali modifiche. La versione modificata dei Termini (i “Termini Modificati”) sarà pubblicata all’indirizzo http://www.oilproject.org/pagine/NoteLegali/ o resa disponibile all’interno del Servizio (per ogni modifica aggiuntiva). In caso di mancata accettazione dei Termini Modificati, è necessario interrompere l’uso del Servizio. Nel caso in cui si continui ad usare il Servizio successivamente alla pubblicazione dei Termini Modificati, tale uso costituirà accettazione implicita dei Termini Modificati.

Su questa base, la fruizione del servizio può essere trasformata unilateralmente da gratuita a pagamento e quindi i contenuti presenti essere resi disponibili solo in quest’ultima modalità? Se questa eventualità fosse reale, di fatto io avrei lavorato gratis per garantire un ritorno economico ad una società privata (che comunque già guadagna con la pubblicità). Oddio, è vero che è qualcosa che facciamo tutti, ad esempio su Facebook, ma alla fine si tratta di una scelta personale, che può avere un senso, specialmente quando non trasferiamo per intero i contenuti sul social network, ma aggreghiamo link a nostri materiali ospitati altrove, ottenendo in questo modo visibilità. Insomma una cosa è condividere in autonomia, un’altra delegare il compito ad altri, in modo un po’ fumoso. Io, se mi va, posso regalare il mio lavoro (e l’ho anche fatto, in passato): ma regalarlo perché un soggetto privato ci guadagni, poco o tanto, mi sembra un po’ troppo (per inciso Oilproject è una delle start up sostenute da Working Capital di Telecom, quindi non c’è solo un simpatico team di ragazzini entusiasti alle spalle del progetto). E’ qualcosa che, in linea di principio, va persino oltre ogni ipotesi di privatizzazione dell’istruzione: ma per il momento lasciamo perdere,  è un discorso che in questa sere ci porterebbe davvero fuori bersaglio.

Tuttavia, dal momento che non sono un’esperta di copyright e, come si dice, vado a naso, aspetto dritte da chi ne sa più di me, casomai la mia diffidenza fosse immotivata. Resta il fatto che anche in questo caso bisognerebbe essere più trasparenti e meno vaghi (e gli utenti dovrebbero essere più accorti, prendendosi tutto il tempo di leggere le condizioni di utilizzo, cosa che, praticamente, nessuno fa mai: e su questo, spesso, si gioca).

 

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2 risposte a Dove si nasconde la trappola (Oilproject capitolo 2)

  1. Mario Govoni scrive:

    La licenza Creative Commons adottata da Oilproject ha pieno valore legale perché nessuno è obbligato ad aderire alla Siae per la tutela delle proprie opere. Le clausole della licenza significano:
    BY: Permette che altri copino, distribuiscano, mostrino ed eseguano copie dell’opera e dei lavori derivati da questa a patto che vengano mantenute le indicazioni di chi è l’autore dell’opera;
    NC: Permette che altri copino, distribuiscano, mostrino ed eseguano copie dell’opera e dei lavori derivati da questa solo per scopi non commerciali (prevengo l’obiezione: dalle opere pubblicate su Oilproject non vengono ricavate opere derivate a scopi commerciali, ma al massimo vengono inserite inserzioni pubblicitarie che servono a finanziare il progetto. Qualora l’autore non desideri la pubblicità, lo segnala e le pagine che ospitano le sue opere saranno vergini);
    ND: Permette che altri copino, distribuiscano, mostrino ed eseguano soltanto copie identiche dell’opera; non sono ammesse opere derivate.
    Quindi, come vedi, nessun esproprio all’autore né oggi né mai, qualora dovesse cambiare il punto 3 delle note legali: il lavoro resta di proprietà di chi lo ha fatto e se non accetta la Creative Commons semplicemente non lo si pubblica.
    Il sito italiano della licenza CC è a questo indirizzo: http://www.creativecommons.it/. forse prima di esporre dubbi infondati e di gettare ombre sulla correttezza del progetto, era meglio dargli un’occhiata.
    Quanto al riassunto delle puntate precedenti fatto all’inizio del post, mi sembra un discorso sindacale di difesa della casta dei docenti e dei formatori in genere, e non democratico di condivisione della conoscenza. Il sapere, fin dai tempi più antichi, è sempre stato diffuso e condiviso e mai a pagamento, si pensi solo alla tradizione orale. Oilproject nasce in quest’ottica. Se non si ammette la condivisione della cultura non si accetta nessun altro tipo di condivisione, compresa quella del software (movimento del software libero). Chi non condivide è facile che sia il primo a violare il copyright (mai fatte fotocopie di un libro?) o i diritti del produttore (mai usato software proprietario copiato illegalmente?). Meglio copiare illegalmente o condividere?
    A te la risposta a questa domanda.

  2. floria1405 scrive:

    Caro Mario, non ci siamo capiti. Colpa mia, che non sono stata sufficientemente chiara. Per quanto riguarda la prima parte del tuo commento, non metto in discussione la natura delle licenze Creative Commons, che conosco bene anche per averle usate. Faccio alcune osservazioni sulle note legali pubblicate sul sito di Oliproject e su certe ambiguità che mi pare esistano. Non voglio gettare nessuna ombra: chiedo chiarimenti a chi ne sa più di me (leggi l’ultimo paragrafo del mio post), com’è legittimo e come prassi in Internet, luogo dove si discute liberamente e apertamente, per definizione. Tu mi dai una risposta. Io l’accetto e aspetto, se ci saranno, anche altri punti di vista. Così sarà tutto più trasparente e saremo tutti più contenti.

    Per quanto riguarda la seconda parte del tuo commento, mi pare molto ingenua ma anche, a tratti, strumentale e pregiudiziale. Sono stata fra i primi docenti in Italia a condividere liberamente, gratuitamente e democraticamente i miei contenuti didattici, a partire dal 2003, sul mio blog di lavoro “Fuori di classe”, allora ospitato su Splinder. Lo facevo in piena autonomia, in primo luogo per le mie classi ma poi anche per cercare un confronto e una condivisione con altre esperienze. Quindi, figurati se voglio fare una difesa di casta. Non è quello. Tuttavia la mia era una scelta individuale e gestita, come ho detto, in autonomia. In ogni caso non pretendevo di sostituirmi ai libri di testo e comunque a opere o prodotti che avevano ed hanno una validità scientifica ben maggiore rispetto a quella che avrei mai potuto mettere in campo io. Oggi la situazione è comunque diversa. Le risorse che elenco nella prima puntata, se vai a controllare, sono fruibili in modo totalmente gratuito ma hanno un’attendibilità didattica ben definita e hanno alle spalle un lavoro di controllo e di verifica ben più approfondito rispetto a quello che, mi pare, può vantare il progetto di cui stiamo parlando. La cultura va condivisa, ci mancherebbe, ma mi pare che la professionalità abbia un suo valore (comunque, visto che parli di trasmissione orale, anche gli aedi omerici non cantavano gratis nelle corti che frequentavano ma venivano ripagati materialmente e moralmente. Avendo studiato accademicamente la trasmissione orale dei testi sia antichi che medievali – sono laureata in letteratura greca, tesi sull’epica arcaica – ti posso dire, inoltre, che aedi, rapsòdi e giullari erano quelli che oggi si chiamerebbero professionisti, appartenenti a corporazioni nelle quali tecniche molto complesse di memorizzazione e performance si trasmettevano di generazione in generazione). e il dilettantismo, specialmente in ambito pedagogico e didattico, è criticabile, IMHO, ovviamente. Tuttavia, liberi tutti di pubblicare e condividere quello che vogliono, liberi i miei studenti di scaricare e scopiazzare, liberi noi docenti di appiccicare delle belle insufficienze quando il risultato è palesemente al di sotto degli standard richiesti. Quello che mi urta è la pretesa di spacciare per scuola quello che scuola non è, né digitale né di altro tipo. Naturalmente uno degli sforzi che faccio, praticando la rete da diversi anni, è educare i miei allievi a distinguere il grano dal loglio, le fonti attendibili da quelle che non lo sono. Lo dovrebbe imparare anche qualche opinion maker, secondo me.
    Infine, per quanto riguarda il software libero, sfondi una porta aperta. Vado predicando da sempre la necessità di adottare nelle scuole software libero, invece che svenarsi per pagare le licenze di software proprietario. Per esempio, le Lim che ci sono state imposte, nella maggior parte dei casi usano software chiuso, costano uno sbotto e sono spesso sottoutilizzate, quando si potrebbero fare cose simili con una distribuzione Linux e un comando remoto della Wii. Si parla anche di un tablet per ogni studente: non sarà mica un IPad, per caso? L’oggetto più chiuso e meno manipolabile che esista. Per quanto attiene le piattaforme per l’elearning, avrai certamente notato che cito nei post Moodle (licenza GPL) che garantisce flessibilità di utilizzo e la possibilità di fare, con un po’ di cura, cose egregie.
    Infine, se posso, mi pare che questa esperienza sia un po’ più attendibile rispetto a Oilproject e più rispettosa del lavoro di chi collabora http://www.didasfera.it/home
    Ci sarebbero molte altre cose da dire, ma in questo momento vado di fretta. Alla prossima.

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