Facebook non è il nemico: studenti, professori e l’ipocrisia digitale.

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Accanto all’ingenuità digitale, l’altro atteggiamento che davvero irrita è l’ipocrisia digitale: quella di chi … «signora mia, che tempi!» e giù, bordate di critiche contro la Rete sentina di ogni male, luogo malfamato da non frequentare,  popolato di bulli, malintenzionati, imbroglioni, pedofili, sciacalli, narcisisti, imbonitori etc etc. E il peggio del peggio, naturalmente, gli oscuri bassifondi dove è pericolosissimo avventurarsi, il cui accesso dovrebbe essere proibito a giovani e giovanissimi, sono i social network, Facebook in primo luogo.

Tutto questo, ovviamente, ribadito, ripetuto e proclamato dai profili social di queste anime candide, a dispetto della contraddizione evidente.

Se foste insegnanti, dareste su facebook l’amicizia ai vostri studenti? 

Per dire. C’è chi si scandalizza quando ammetto tranquillamente di aver sempre accettato, su facebook, le richieste di amicizia dei miei studenti. Sembra a qualcuno che in questo modo io abdichi alla mia autorità di docente. Il punto è che io non mi sono mai sentita libera di scrivere sulla mia bacheca tutto quello che mi passa per la testa.  Agisco sempre prendendomi la responsabilità di una comunicazione che, in qualunque modo io setti la mia privacy (ma ormai ho deciso da tempo di lasciare i miei contenuti disponibili), è, in ogni caso, pubblica, o semipubblica. Quello che scrivo su facebook, potrei tranquillamente dirlo in classe, magari in una pausa, chiacchierando amichevolmente con gli studenti, senza timore, senza vergogna.

Siamo persone civili. Non ci denudiamo l’anima davanti a semplici conoscenti o quasi estranei, se li incontriamo nella pubblica via: non si vede perché dovremmo farlo sul social network. Tanto più se siamo insegnanti, o se rivestiamo un qualunque ruolo più o meno ufficiale.

Il problema, casomai, è un altro. Non chiederei mai l’amicizia ad uno studente, ma non la nego quando mi viene chiesta. Il punto è: perché gli studenti non si ricordano più spesso che fra i contatti hanno i loro insegnanti? E ce l’hanno per scelta, perché magari sono stati loro a sollecitare l’amicizia, convinti che fosse divertente spiare il proprio docente, senza rendersi conto che, alla fine, sono loro a rischiare di più. 

E allora torna in primo piano la questione della consapevolezza digitale, rispetto alla quale nella scuola poco si fa, a parte qualche incontro, più o meno terroristico,  con la polizia postale e,  per fortuna, l’aggiunta di moduli specifici nella nuova ECDL (che, a onor del vero, danno indicazioni più che altro tecniche, ma non entrano – né potrebbero farlo, per come sono strutturati – nel merito delle finalità, implicite ed esplicite, della comunicazione digitale online).

Credo (e non da ora) che la scuola non può tagliarsi fuori dai luoghi che più vengono frequentati in Rete e che il nostro dovere di educatori consiste anche nell’accompagnare, con le giuste pratiche e con l’esempio, i nostri studenti nell’uso intelligente e riflessivo dei social network. Va da sé che gli insegnanti – e, più in generale,  gli adulti tutti –  in molti casi dovrebbero smaltire velocemente la sbornia digitale da iperconnessione e ragionare di più su quello che pubblicano e sui motivi per cui lo pubblicano.

Per chi fosse interessato, segnalo il mio approfondimento su The Lab’s Quarterly (Laboratorio di Ricerca Sociale dell’Università di Pisa): Professor Facebook: relazioni educative, autorità e controllo sociale nell’epoca del social network

 

 

 

 

 

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