FOMO, la (ir)resistibile paura di perdersi

FomoGli apocalittici tempi (post)moderni ci regalano di continuo qualche nuova forma di pazzia: come, appunto, la cosiddetta FOMO, acronimo dell’inglese Fear of Missing Out, in italiano «paura di essere tagliati fuori»: un’ansia «sociale» che è cresciuta esponenzialmente con la diffusione e la pratica dei social network. La quantità impressionante di informazioni, più o meno rilevanti, che si rovescia quotidianamente sugli schermi dei nostri dispositivi, ritmata dal suono martellante delle notifiche, alimenta inevitabilmente il timore che qualcosa di assolutamente importante, fondamentale, insostituibile e imprescindibile possa sfuggire al nostro sguardo febbrile: FOMO, appunto, ovvero quell’impulso irrefrenabile a  controllare compulsivamente i nostri profili social, le mail, i messaggi di whatsapp, gli aggiornamenti di instagram, con il terrore inconfessato che «perdere il passo» ci condanni all’irrilevanza, all’invisibilità, all’emarginazione.

Io, lo confesso, ne soffro, e non da ora. Diciamo che la FOMO, per quanto mi riguarda, trova terreno fertile nel mio temperamento: sono curiosa, portata a spericolate elucubrazioni mentali, dispersiva, mobile, facile ad annoiarmi, non di rado un po’ superficiale. Non appena l’ho scoperta, la Rete è stata per me il mare magnum dove sguazzare felice, da un social all’altro, da un’ app all’altra, da un link all’altro, in una festosa serendipità che tanto più mi appagava quanto più mi allontanava dalle rotte consuete che ero (sono) costretta a percorrere nel sonnacchioso tran tran di pacifica prof di provincia.

Certo, avere l’impressione di essere sempre «un link indietro» rispetto all’ultimo trend topic ti precipita fatalmente in una sorta di vertigine cognitiva. Ma ho finito per capire che una vita lunga e, si spera, non funestata da un declino intellettuale troppo grave non può bastare a star dietro a tutte le cazzate che popolano il Web, per popolari, divertenti, accattivanti che siano.  Quindi ho imparato a fare i conti con le tentazioni e pratico regolarmente l’arte non facile della disconnessione.

crowd in the webMa i padroni della Rete hanno mezzi potenti per tenerci incatenati ai nostri device. Fanno leva, ovviamente, sulla paura molto umana della solitudine. Se si aggiungono la frustrazione sociale, l’inconsapevole timore della propria sostanziale inutilità, l’opaca consapevolezza di essere sostituibili, volti qualsiasi persi nella folla anonima del web, carne da cannone per la misteriosa guerra dei dati, ingranaggi involontari dei meccanismi del marketing, si capisce come la risposta automatica sia di necessità la smania di esserci a qualunque costo, di commentare, lasciare una traccia, far sapere di esistere.

Bisogna dimostrare di avere un pensiero, un’opinione, una fede che chiedono disperatamente di essere considerate, riconosciute, apprezzate. Aggiorniamo freneticamente i nostri profili, cerchiamo la scossa adrenalinica dei like, sgomitiamo per farci sentire, anche se in fondo non abbiamo niente da dire che non sia stato già detto da qualcun altro, e meglio di quanto potremo mai fare con i nostri scarsi mezzi. Se proprio le parole ci mancano, ricorriamo agli aforismi, ai meme, al sentimentalismo o al cinismo preconfezionati che repertori di citazioni copia-incollate e immaginette convenzionali e doverosamente kitsch ci forniscono già pronti per l’uso. Roba del genere, per intenderci.

buongiorno_caffè

Possiamo essere zuccherosi o violenti, odiatori seriali o commentatori compulsivi (un esemplare particolarmente significativo è il tipo umano che commenta lutti noti e meno noti con l’invariabile R.I.P.), impegnati in qualche causa o incoscientemente  dediti a mettere in vetrina i  momenti più privati nostri o dei nostri cari: la sostanza non cambia.   Si tratta di FOMO, paura di perdere quell’unica fondamentale notifica che ancora non ci è arrivata. Paura di perdersi, alla fine. 

smartphone bookCredo che alla fine l’antidoto più efficace sia, ancora una volta, la consapevolezza. Se ammettiamo e riconosciamo che la nostra e altrui dipendenza discende da questa sindrome, una sindrome alimentata ad arte dall’architettura cognitiva che presiede al funzionamento delle grandi piattaforme comunicative del web, se ne riconosciamo i sintomi in noi e nel nostro prossimo, forse ritroveremo la strada per una comunicazione non infelice, non arrogante, non violenta, non drammaticamente autoreferenziale.

E, banalmente,  ricordiamoci, ogni tanto, di lasciare lo smartphone in un’altra stanza, con le notifiche disattivate.

Per approfondire

Motivational, emotional, and behavioral correlates of fear of missing out

FOMO, “Fear of missing out”: la dipendenza dai social network una nuova ansia sociale 

Maurizio Ferraris, Mobilitazione Totale, Laterza 2015

 

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