Four more years, Mr Obama! E noialtri tiriamo un sospiro di sollievo.

Lo confesso, stamattina ho tirato un sospiro di sollievo. Ero andata a letto alle due, quanto l’esito dell’elezione americana era ancora incerto, e, sinceramente, era un po’ preoccupata. Il mio ultimo stato su facebook recitava così: “Il fatto è che alla fine ci riguarda più quello che succede in America che quello che accade a casa nostra. Il fatto è che siamo una remota provincia dell’Impero. Il fatto è che ci vorrebbe un moderno editto di Caracalla, come quello che estese la cittadinanza a tutti i sudditi dell’Impero Romano: insomma avremmo dovuto votare anche noi. Il fatto è che possiamo solo sperare che ci vada bene per i prossimi quattro anni”. Era un’affermazione paradossale, legata alla sensazione che siano più decisive per il nostro destino le scelte degli americani, sulle quali, ovviamente, non abbiamo la minima voce in capitolo,  che non tutte le nostre fibrillazioni interne: in un mondo globalizzato non può essere che così. Il tifo sfegatato per Obama che leggevo nelle bacheche di tanti nostri compatrioti si spiega esattamente così.

Ma la santificazione no, per favore. E’ evidente che non viviamo in un mondo perfetto, e di conseguenza la democrazia americana non è certo perfetta. Il sistema elettorale americano è vecchio di due secoli e, naturalmente, risente pesantemente di questa caratteristica. La partecipazione popolare al voto, soprattutto da parte dei cittadini delle lower classes, è tradizionalmente bassa, a dimostrazione che la società americana, in contrasto con la retorica abusata dell’american dream, è profondamente classista. A questo proposito cito il prof Arnaldo Testi: “L’assenza dalle urne non è socialmente neutra. Tocca sì tutti gli strati della popolazione, ma acquista un carattere patologico nelle sue fasce più povere e meno istruite. La correlazione fra reddito e istruzione, da una parte, e partecipazione elettorale dall’altra, è diretta e assai visibile. Accade così che in un elettorato presidenziale che comprende, come si è detto per il 2008, circa il 64% degli aventi diritto, chi ha i redditi più bassi voti al 52%, mentre chi ha i redditi più alti voti all’80%. E che chi non raggiunge un diploma di high school voti al 39%, mentre chi ha un’istruzione universitaria avanzata voti all’83%“.

Il meccanismo è tale che un candidato può ottenere la maggioranza del voto popolare senza vincere le elezioni: non è accaduto oggi (ma è un esito che abbiamo temuto), è accaduto nel 2000.

I risultati odierni mostrano un paese sostanzialmente spaccato: Camera repubblicana, Senato democratico. Ovviamente  questo dato inciderà profondamente sull’efficacia dell’azione di governo di Obama anche nei prossimi quattro anni.

Le differenze programmatiche fra Democratici e Repubblicani, fatta la tara delle rispettive propagande, non sono poi così marcate. Vedi per esempio qui.  Da sottolineare, per esempio, questi due punti.

Both parties are largely backed by the same corporate contributors and interest groups. Congressional members also receive contributions from many of the same interest groups. Both parties are heavily lobbied by corporate America — to the tune of $3.3 billion in 2011 and $1.68 billion thus far in 2012.

In an apparent direct conflict of interest, 130 Republican and Democratic congressional members have invested in company stocks while making legislative decisions that impact those same companies.

Naturalmente gli Americani sono praticamente costretti a scegliere fra i corni di un’alternativa bloccata, e non sono pochi quelli che dichiarano di preferire semplicemente il minore fra due mali (il 46% qualche mese fa, il 21% ieri. com’è logico che sia dopo la radicalizzazione dello scontro nelle ultime settimane). Di fatto i candidati terzi rispetto ai due maggiori contendenti sono condannati alla quasi invisibilità: il che comporta, di fatto, una convergenza delle due maggiori formazioni su politiche sostanzialmente simili, alla faccia del pluralismo, sebbene le dichiarazioni ufficiali diano l’idea di una contrapposizione molto più netta di quanto in realtà non sia.

Infine, entrando nel merito del risultato odierno, Obama, al contrario di quanto ho appena ascoltato su Sky, ha vinto con un margine più stretto, nel voto popolare, rispetto al 2008: un dato che mi pare significativo E, come scrive il NYT, bisognerà vedere fino a che punto Obama sarà disposto a spingersi per mantenere anche quelle promesse che nel suo primo mandato sono state disattese: “Now the struggle for re-election will be replaced by a struggle for Mr. Obama’s political soul“.

Insomma, noialtri, da veri sudditi dell’Impero, ci appassioniamo alle vicende americane, ed è, in fondo, giusto e comprensibile: ma cerchiamo di non peccare troppo di esterofilia, di non esaltare Obama come novello unto del Signore e di valutare la questione con un minimo di spirito critico 

 

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