Il professore stanco

Sono sei mesi che ho lasciato (momentaneamente) l’insegnamento attivo e l’effetto è stato simile a quello che si ottiene smettendo di fumare: com’è noto, si dice che l’astinenza dalla nicotina migliora in tempi brevi la performance fisica e intellettuale. Per quanto mi riguarda, l’allontanarmi per fare altro da quel monumento di chiacchiere inconcludenti e dannose che opprime ormai da decenni la scuola italiana, ha avuto indubbiamente il benefico effetto di snebbiarmi il cervello. Un professore che non continua a studiare, è un professore a metà. Un professore che, pur desiderandolo, non può studiare, perché da insegnante è stato forzatamente trasformato in un ibrido, un ircocervo, un patetico incrocio fra un intrattenitore, un assistente sociale, un terapeuta della famiglia, un burocrate, non può non essere frustrato.

La questione è molto semplice. Mi pare che nessuno sappia più rispondere con un minimo di attendibilità e una ragionevole certezza alla domanda di fondo: a che cosa dovrebbe servire, oggi, la scuola? Che cosa, esattamente, dovrebbe insegnare? E con quale finalità? L’istituzione scolastica si è trasformata in una contenitore confuso di istanze contraddittorie, un pascolo incolto dove vengono confinati i ragazzi dall’infanzia alla post-adolescenza, tanto per illuderli e tenerli tranquilli,  prima che il sistema li inghiotta in un meccanismo perverso fatto di precarietà, incertezza, mancanza di senso e ragionevoli prospettive.

Sono apocalittica? Può darsi. Se esaminiamo la faccenda dal lato del docente, vediamo che gli insegnanti sono stati, nel tempo, delegittimati, avviliti economicamente, sballottati fra  troppi tentativi abortiti di riforma, sminuiti nel loro ruolo, appiattiti culturalmente, ridotti al rango di impiegatucci imbrattacarte, alla faccia della sbandierata (e mai compiutamente realizzata) autonomia scolastica. In parte se la sono cercata, con la complicità interessata dei sindacati: man mano che i criteri di reclutamento diventavano, nel tempo, sempre meno selettivi, che il precariato si trasformava in una piaga immedicabile, che si barattavano stipendi bassi con la tranquillità di un posto fisso con poche pretese e scarsi controlli  e si lasciava alla buona volontà individuale il compito di mantenere la professione a livelli decenti, la categoria si impoveriva e il livello culturale complessivo si abbassava.

Tuttavia, come si dice, le toppe che si è cercato di mettere alla situazione sono state peggiori dei vari buchi. Un post non basta per elencare le innumeri follie demagogiche  che hanno albergato nelle fertili menti dei ministri durante gli ultimi vent’anni: ogni inquilino di Viale Trastevere aveva pronta la sua personale ricetta per risolvere gli annosi malesseri dell’istruzione italiana, ottenendo come  risultato finale l’attuale condizione comatosa dell’illustre e decaduta ammalata.

Il punto è che, bene o male, fino a non moltissimi anni fa, chi voleva poteva ancora fare decentemente questo mestiere, con la sensazione di essere comunque utile a qualcosa o a qualcuno. Ora è diventato tutto straordinariamente più difficile. Faccio un esempio. Un tempo si studiava la storia e la geografia. Voialtri lettori di una certa età siete convinti di sapere di che cosa sto parlando? Uhm, vi informo che ora bisogna travestire tutto da “competenza”. Nella mia scuola, ad esempio, il cosiddetto “asse storico-sociale” prevede per il secondo anno il raggiungimento della seguente “competenza”:  Comprendere il cambiamento e la diversità dei tempi storici in una dimensione diacronica attraverso il confronto fra epoche e in una dimensione sincronica attraverso il confronto fra aree geografiche e culturali. Tale competenza va poi declinata in “abilità”, “conoscenze”, “contenuti”. Abbiamo perso un pomeriggio, peraltro prendendoci molto sul serio,  a tradurre in didattichese quello che normalmente facciamo (o tentiamo di fare) in classe. Tipo: per sapere la storia bisogna conoscere qualche data fondamentale e magari, che so, dove si trova Maratona? Ecco qui, l'”abilità” corrispondente: Collocare i più rilevanti eventi storici affrontati secondo le coordinate spazio-tempo. Wow. Però, visto che vanno individuate anche la corrispondenti “conoscenze”, bisogna specificare a lato: Le periodizzazioni fondamentali della storia mondiale; i principali fenomeni storici e le coordinate spazio-tempo che li determinano. E poi aggiungere i “contenuti”, ovvero quello che una volta si chiamava “programma effettivamente svolto”. Per ogni alunno una scheda, con sei o sette abilità di questo genere e relative conoscenze/contenuti, con accanto a ciascuna voce il livello effettivamente raggiunto. Tutto questo va ripetuto, opportunamente adattato,  per l’ “asse dei linguaggi”, l'”asse scientifico-tecnologico”, l'”asse matematico” … manco fossimo la falegnameria della conoscenza.  So che è stato svolto anche un meraviglioso corso di aggiornamento, praticamente obbligato, allo scopo di chiarire le meraviglie della “certificazione delle competenze”: ma a quell’epoca, grazie a Dio, ero già fuori. E non è che nel mio Istituto siamo pazzi o masochisti: l’iter è il medesimo per tutti, al massimo ci può essere chi è più diligente o ingenuo e chi fa finta. Ma la certificazione ci vuole, non si scappa. Sulle sottili distinzioni semantiche fra i termini “competenza”, “capacità”, “abilità” etc etc, poi, si potrebbe scrivere un trattato: sfuggono alle persone normali, ma la scuola è il regno d’elezione di questi bizantinismi.

Se volete farvi male, in ogni caso, andate a questo link (sul sito del mio istituto) e troverete un corposo dossier che, dottamente, ci insegna come fare il nostro mestiere nella complicatissima scuola del XXI secolo. Poi magari ti ritrovi con classi di 30 – 33 alunni, ognuno con i suoi problemoni o problemini: dall’anoressia agli attacchi di panico, dalla tossicodipendenza strisciante o conclamata al bullismo, dalla dislessia e similia all’assente conoscenza della lingua italiana per gli alunni stranieri (senza contare, per questi ultimi, le difficoltà di integrazione), e mettiamoci pure i genitori stressati, ansiosi e invadenti o, al contrario, del tutto assenti. Se riesci a inventarti un programma che abbia l’apparenza della decenza puoi ritenerti fortunato. Naturalmente dovresti interrogare  tutti i ragazzini almeno due o tre volte, fare quattro o cinque compiti per materia a quadrimestre, più questionari vari tarati sugli obiettivi individuati nel tuo piano di lavoro e sulle competenze di cui sopra, magari svolgere un paio di progetti “creativi” per motivarli vieppiù, educarli alla salute, all’affettività, al codice della strada, all’uso di Internet (ah, le LIM!), recuperare le lacune, organizzare corsi di recupero e sportelli didattici … Alla fine di tutto questo faticosissimo ambaradàn (e non ho citato le riunioni di dipartimento, i consigli di classe, i collegi docenti, i corsi di aggiornamento suggeriti o imposti) accompagnato dall’ormai noto taglio di risorse (come si sa,  l’istituzione scolastica viene da tempo foraggiata con i proverbiali fichi secchi: e gli insegnanti “bravi” dovrebbero magari condividere i loro meravigliosi contenuti gratis in Rete, perché, è ovvio, l’amor di conoscenza obbedisce alla logica disinteressata del dono, come ci ammoniscono i vari profeti della magnifiche sorti e progressive della scuola digitale),  che cosa ti senti dire? Che la scuola non funziona, che i nostri allievi sono i più ignoranti d’Europa (eh, che vuoi, lo certifica l’OCSE!), che ci vuole più meritocrazia … e la ricetta qual è? Premiare l’alunno dell’anno con una risibile tessera Iomerito. Sghignazzo epocale.

Vi meravigliate che in tanti, e non i peggiori,  scappino? Chi può va in pensione. In molti hanno tentato la carta del concorso per dirigente scolastico. Parecchi hanno provato la fuga per andare ad insegnare all’estero, chissà se partiranno mai (il concorso dello scorso dicembre per l’accertamento linguistico è stato un caos, l’ordinanza per l’aggiornamento delle graduatorie non è ancora uscita, la spending review mette in discussione la stessa esistenza delle scuole italiane all’estero). Io personalmente ho scelto la strada del dottorato, tanto per provare a riprendermi dallo sconforto. Magari, dopo essermi addottorata, tornerò in pista nuovamente motivata e un po’ più sveglia intellettualmente di quanto non fossi negli ultimi mesi trascorsi in classe.

Spero.


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25 risposte a Il professore stanco

  1. peppe nateri scrive:

    condivido in pieno, oggi la scuola dei numeretti, delle caselline e dei progettucoli è il luogo di sfogo delle frustrazioni dei più mediocri tra noi, ti segnalo un intervento di un collega su FR; di qualche tempo fa
    ciao

    http://www.didaweb.net/fuoriregistro/leggi.php?a=14302

  2. floria1405 scrive:

    Ti ringrazio del link. Condivido le parole di quell’articolo una per una.

  3. Io sono tornato a scuola a gennaio dopo tre anni di dottorato. Tre anni durante i quali ho scritto quattro libri (compresa la tesi di dottorato) e fondato una rivista. Temevo che il ritorno a scuola sarebbe stato traumatico, ed è stato invece piacevole: mi mancava insegnare – come si deve, intendo dire, non come si fa all’Università.
    Il problema dell’insegnamento è quello che segnali: il docente non può studiare. Se lo fa, lo fa a suo rischio e pericolo. Nessuno lo incoraggia; anzi: tutto sembra scoraggiarlo. Non si vuole un docente intellettuale, che faccia ricerca. E’ questo che dopo un po’ spinge i migliori, come dici, a cercare una via d’uscita.
    Personalmente sto cercando, ora che sono rientrato, di portare nella scuola la ricerca. Ad esempio utilizzando in classe il metodo della maieutica reciproca di Dolci, che ho studiato durante il dottorato; oppure scrivendo il manuale di pedagogia per i miei studenti (http://www.keiron.info). Ma è dura.

  4. Luca scrive:

    Vengo da una lunga consegna delle pagelle. Abbiamo fatto in modo che i voti disciplinari facessero media con la votazione del comportamento (di solito alta); così il giudizio di idoneità, ossia il voto di ammissione all’esame di terza, poteva risultare più alto di quanto ci s’aspettasse. Addirittura è successo che chi avesse tre insufficienze sia stato ammesso all’esame con un voto d’ammissione “7”. Troppa importanza alla condotta o forse un modo per non fare una strage degli innocenti (non bocciarne troppi). Probabilmente un errore. L’anno prossimo cambieremo tutto al primo collegio docenti. Uno dei tanti intoppi di questa scuola. Gli altri li hai bene elencati tu. Ma non mi unisco al coro di applausi degli altri commentatori. Mi sembra che ci sia tanto di vero e inattaccabile, ma anche di banale e risaputo. E tutte queste difficoltà fanno parte del gioco. Non è un mestiere come gli altri. Se non hai la forza per resistere a questa valanga di delegittimazioni e attacchi, vai pure a fare il dottorato. A scuola ci servono persone coraggiose e motivate. hai tutto il diritto di arrenderti, ovviamente. Ma tutti i disagi che hai bene enunciato non sono colpa dei ragazzi. Loro hanno bisogno di entusiasmo e di amore della conoscenza, non di stanchezza e di lagne, seppur fondatissime. Ciò che deve prevalere è la passione della trasmissione del sapere, una passione totalmente assente in queste righe. Le “chiacchiere inconcludenti” sono nuvole numerose e angoscianti, ma non offuscano per niente il coraggio di un docente appassionato. Possono snebbiare solo il cervello di chi non ha l’anima accesa da quella favolosa opportunità di far transitare la luce della conoscenza. Siamo semafori, portatori di senso, non dovremmo essere intaccati dal grigiore di questa landa desolata che è l’Italia incolta del 2012.

    • floria1405 scrive:

      Caro Luca, il tuo commento è forse un po’ ingeneroso nei miei confronti ma ti perdono in virtù della grande passione che anima le tue parole.
      Voglio precisare una cosa, tuttavia. Io non me la prendo affatto con i ragazzi, e se ti ho dato questa impressione mi dispiace. Evidentemente non sono stata chiara. Gli alunni non c’entrano proprio niente e, semmai, sono anche loro le vittime di un sistema che deprime i migliori e non aiuta affatto quelli che sono più in difficoltà. I nostri allievi hanno il diritto di avere docenti sereni, che svolgano con consapevolezza e competenza (qui sì, la parola ci sta bene) il loro mestiere e che siano messi in condizione di operare con gli strumenti giusti, nel modo migliore. Alla fine del mio dottorato tornerò a fare quello che finora mi è sempre riuscito meglio, cioè insegnare, ma, mi auguro, con quella lucidità che, onestamente, stavo perdendo. E, magari, con qualche conoscenza in più, con un bagaglio culturale più ampio che mi consentirà di svolgere il mio compito con più efficacia. Leggi il commento di Antonio Vigilante e capirai perfettamente quello che voglio dire.
      Ho letto il tuo post sull’ultimo giorno di scuola: qui non c’è nessun razzista, nessun prof anziano che non sopporta le novità, nessuna persona “gretta, miserabile, fuori luogo”. Attento piuttosto che la tua retorica un po’ deamicisiana non offuschi la percezione del problema che segnalo: I colleghi peggiori, stanne certo, quello che dovrebbero cambiare mestiere, resteranno al loro posto a far danno, tirando a campare come sanno e come possono. Sono i migliori, quello che si arrovellano su come sia possibile continuare a fare scuola vera in questo marasma, a correre il rischio di scoppiare: proprio per la passione che li anima. Se non si affronta velocemente questa questione, il sistema crollerà: perché fino a questo momento si è retto sullo spirito missionario, sulla buona volontà di chi ha stretto i denti e ha trascinato la carretta proprio in nome dei ragazzi, e non per altre motivazioni. Te lo dice una che ha cinquantuno anni, insegna da quando ne aveva ventidue, in casa ha sempre respirato aria di scuola sin dall’infanzia visto che è figlia di maestra elementare, una di quelle che in classe ha sempre raccolto anche gli alunni più problematici, quelli che altri rifiutavano ed emarginavano. Non mi fare lezioni, per favore. Quello che sono sempre stata dietro una cattedra (anzi, sopra, perché in genere mi siedo lì, se sto seduta, ma è più probabile che faccia lezione in piedi, fra i banchi) lo possono testimoniare i miei alunni, quelli bravi e quelli più difficili, e non ho bisogno di altro. Ma è inutile parlare di casi personali, il tuo o il mio, per quanto indicativi. Il problema, diciamo così, è strutturale e non si risolve soltanto con la buona volontà individuale.

  5. anna scrive:

    Praticamente hai ragione su tutto. Sono i temi con i quali dibatto tutti i giorni fra me e me.

  6. uqbal scrive:

    Sono molto d’accordo con questo post, in generale.
    Ma questo tipo di analisi, per quanto giusto, non è nuovo (non lo dico in senso polemico).
    Il problema originario e fondamentale è che finché il Ministero presumerà di poter governare da Roma quel che avviene nelle classi italiane, l’unico suo strumento disponibile sarà solo il conformismo (neanche io dico niente di nuovo, in realtà). E infatti abbiamo stessi programmi, stesse valutazioni, stessi libri, stesso tutto.
    In moltissimi docenti questa idea è stata ampiamente introiettata e viene continuamente girata agli studenti. In sostanza: “C’è un solo modo di fare le cose, il mio [i docenti credono sia così], fatele e poche discussioni”. L’opzione più ragionevole per gli studenti è diventare scimmie ammaestrate. La valutazione poi in definitiva certifica l’ammaestramento (e infatti nella nostra scuola copiare paga, perché la nostra scuola produce e richiede precotti).
    La classe docente -come dici anche tu- non ha mai combattuto tutto questo, ma ci è andata allegramente a nozze.
    Io ancora non capisco perché le scelte didattiche le discute il sindacato, mentre le associazioni professionali rimangono sullo sfondo; sindacato che ha sempre barattato la sostanza per i cavilli. Basti vedere cosa si è combinato sulla carcassa della continuità didattica.
    E tutti si lamentano, ma se proponi dei cambiamenti veri, anche a chi si lamenta, ottieni sospetto e ostilità: lasciare alle scuole la possibilità di dire la propria sull’organico? Per carità! Valutare gli insegnanti? Vade retro! Cercare di superare l’ostilità verso le private e capirne l’utilità? Venduto!
    La vedo grama.

  7. Tupaia scrive:

    Complimenti, condivido parola per parola. Ho seguito lo stesso percorso, sono scappata dalla scuola per un dottorato, dopo aver provato qualche anno fa l’inutile e allucinante esperienza dell’esame di lingue per le scuole italiane all’estero. Ora mi si apre un problema, qualcosa di simile al dilemma del prigioniero: ho visto un altro modo di lavorare ed io, in quell’inferno, non ci voglio tornare. Eppero’ alla fine quelli che rimangono non danno garanzie di essere quelli piu’ adatti al lavoro e la mia fuga serve solo, forse, a peggiorare di un quanto il sistema.

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  9. anna scrive:

    @luca Sinceramente non capisco come si possa essere così critici verso Flora e poi sostenere che, be’, un altro anno si riparerà all’errore fatto. Come se si trattasse di una scoperta improvvisa. Il dilettantismo di una valutazione come quella di cui parli è la prima cosa da condannare. Perdonami, non voglio entrare in polemica con te, né con altri, ma i buoni maestri sono tali anche quando usano lo stesso metro per tutti.

  10. MICHELA scrive:

    fa piacere leggere questo post. condivido appieno e non immagini quanto. e infatti me ne vado… almeno temporaneamente. grazie davvero per la condivisione

  11. Luca scrive:

    Sì, Floria, apprezzo la tua risposta. Nessuna lezione, solo la foga, viziata dal momento, di chi torna a casa dopo una giornata piena, in un periodo intenso e difficile, e legge, da chi dovrebbe essere un alleato, una dichiarazione di resa. I problemi strutturali, ribadisco, sono quelli che hai individuato. Non lo nego. Anzi, potrei elencarne altri. Ma ci’ che conta di più, almeno per me, è la risposta individuale a questi problemi di struttura. Ciò che faccio io quando m’accorgo delle crepe e degli scricchiolii nei muri e inizio a temere il crollo dell’edificio. C’è chi va via a fare altro e c’è chi resta, rischiando di restarci sotto, con la certezza, fuor di metafora, di non avere alcuna gratificazione sociale, di apparire come un loser, un nerd della gerarchia sociale e professionale. Tu mi dici che insegni da una vita e proprio a me me lo vieni a dire io di qua io di là, io che non mi siedo dietro la cattedra io così e bla bla. Va bene; ma sono proprio i migliori che possono gettare la spugna. E noi, qui dentro, tra scosse e smottamenti, abbiamo bisogno dei migliori. Beninteso, hai tutto il diritto di andartene e non ti accuso di vigliaccheria (nè ti do lezioni, suvvia), ma non mi dire che la volontà individuale non c’entra nulla.

    @anna
    “Non capisco come”. Sì, in effetti non hai capito.

  12. carla fabiani scrive:

    ti segnalo un articolo mio e di una mia collega in sintonia con quanto affermi tu. GRAZIE!
    http://temi.repubblica.it/micromega-online/per-una-rivoluzione-della-scuola-superiore/

  13. Geppino scrive:

    In Italia non si vogliono docenti preparati, tutto qui: l’educazione deve essere fornita dalla televisione.

  14. Geppino scrive:

    Penso che la scuola secondaria superiore attuale, così come è stata voluta dai nostri politicanti, sia congeniale per il docente che non sa nulla, che non ha voglia di far nulla e non se ne frega di nulla. Chi ha un minimo di senso del dovere, può solo soffrire lentamente o cambiare lavoro: io ho scelto la seconda opzione.

  15. Geppino scrive:

    La cosa più scandalosa della scuola italiana sono i PROGETTI, particolarmente nel Sud d’Italia dove arrivano soldi europei. E’ una vergogna. Docenti, dirigenti, che si occupano oramai solo di fagocitarsi denaro pubblico, infischiandosene completamente di didattica, di qualità della scuola e soprattutto di guadagnarsi i soldi dei progetti. Se fossi io il ministro, la prima cosa che abolirei nelle scuole sono proprio i progetti: le scuole devono finire di essere centri di formazione per patenti vari, devono fare una sola cosa e bene: la scuola. Si valutino le scuole sulla didattica e i dirigenti dovranno rispondere personalmente di risultati raggiunti e tassi di assenteismo del personale.

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  17. Margherita Romano scrive:

    Sì molto stanco, molto demotivato, salvato solo dall’amore dei e per i ragazzi, ma a volte all’ultimo stadio dell’ira e della frustrazione il prof. italiano si dibatte nella sua rete di incubi.
    Caro Luca non tutti sono eroi, io ho avuto un incidente e mi sono ammalata, da sei mesi sono a casa e ho molto pensato a ciò che mi manca e a ciò che non voglio più. Non voglio più la burocrazia folle, triplici copie più formato informatico, le circolari, media di tre al giorno, l’imbustamento delle pagelle con fogli spiegazioni giustificazioni e me ne lavo le mani in originale, le riunioni affollate e inconcludenti perchè affollate, la stanchezza totale e le idee brillanti, ma inattuabili, il non pensate al vostro stress ma ai ragazzi e alla didattica, come se la didattica e i ragazzi non risentissero del nostro stress…..
    Mi mancano i ragazzi, tantissimo e i colleghi e i libri e le idee brillanti attuabili e il vedere il sorriso di chi …ho capito prof! Le letture e le discussioni, i tentativi, i fallimenti e le vittorie…mi manca la classe, vero mostro dagli occhi verdi e dalle labbra rosse.
    Tornerò, part time.
    Ciao, Margherita

  18. mara scrive:

    Ciao, condivido: serve aria nuova per rigenerarsi e dare quel che serve ora, più di prima in questa scuola con una nuova passione. Il dottorato di ricerca: ma come si fa….puoi dare qualche dritta?
    Grazie, soprattutto per quel che hai scritto
    M

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  21. Pingback: Caro Ministro … | contaminazioni

  22. Gloria scrive:

    Condivido in pieno. Io da insegnante di liceo aggiungerei che gli adolescenti stanno dando il peggio di loro negli ultimi anni e che siamo presi in giro e trattati come caricature grazie anche ai loro maledetti cellulari di cui si servono per girare video mentre noi tentiamo di fare lezione. Qualcuno potrebbe dire che i cellulari andrebbero ritirati a va bene ma molti ne hanno un secondo “di riserva” . Mica possiamo passare le ore a controllare chi usa i cellulari? Gli alunni ci prendono in giro e molto ..e non si nascondono piu’ nemneno nel farlo perche’ hanno perso totalmente il valore del RISPETTO nei confronti del professori.Quest’anno mi sono spostata di proposito sul sostegno pur essendo titolare di cattedra con una cssa a pochi metri di distanza ..(segno che davvero non ne potevo piu’ della loro arroganzs e delle loro prese in giro) e cosi avendo piu’ tempo a disposizione sono ritornata nell’ambiente universitario (sperando fortemente di vincere il dottorato). Ebbene frequento qualche corso del primo anno quindi insieme a ragazzi di diciotto o diciannove anni e…incredibile..li non ho nessun ruolo e vengo trattata benissimo e con grande rispetto da ragazzi di appena uno due o tre anni rispetto a quei viziati maleducati . Ovvio che esistono anche studenti modello e rispettosi ma purtroppo si ha a che fare con le classi e non con i singoli.

  23. Pingback: Il professore stanco (parecchi anni dopo) – contaminazioni

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