Ipocrisia

Dell’articolo di Arnaldo Sciarelli “Il matrimonio gay? Io dico no”, pubblicato ieri su “Europa” in risposta ad un intervento di Anna Paola Concia (che a sua volta replicava ad un contributo di Silvia Costa e Patrizia Toia) non varrebbe la pena di parlare, se non fosse che… è scomparso! Dopo essere stato condiviso, commentato e, in genere, stroncato qua e là per la Rete, puff, è andato.

Naturalmente è ancora consultabile (non per sempre, tuttavia: affrettatevi) la copia cache di Google, che permette di recuperare perle di questo genere: “Quanto alle statistiche a supporto dell’ovvietà delle adozioni da parte di coppie omosessuali, sia sotto il profilo esteriore che psicologico per gli adottati, il discorso si complica. La Concia immagina cosa accadrebbe in una scuola italiana ad un alunno, adottato ed anche figlio naturale, ufficialmente con due padri o due madri? E che influenza la derisione potrebbe avere sulla crescita del fanciullo, dell’adolescente? E questo al di là delle teorie che propugnano la necessità di avere un padre e una madre con ruoli ben definiti. E tirare in ballo madri e o padri degeneri è un’esercitazione inutile perché fanno parte di un insieme che si ripete dagli albori dell’umanità e convive con il suo cammino. Ma immagina la Concia cosa può passare nella testa di un fanciullo nel sentirsi chiedere chi era il penetrante stanotte o se le due mamme, al di là di preliminari evidenti, si alternano nel ruolo maschile e se usano strumenti? Si conosce la cattiveria con la quale a volte bambini, adolescenti ed adulti irridono soggetti che destano comunque curiosità?”. Un tantino morboso, non è vero, questo fantasticare su penetrazione e “strumenti”?

Al di là delle facili battute, è possibile notare come l’omofobia (che in genere sembra funzionare secondo il meccanismo: “Chi? io, omofobo? Ma no … sono loro che sono omosessuali!”) tenda a giustificarsi usando come alibi … l’omofobia. Insomma, mi pare che all’incirca il ragionamento di Sciarelli, conduca di fatto a queste conclusioni: siccome i bambini, e non solo loro, sono cattivi e “irridono soggetti che destano comunque curiosità”, dal momento che ci troviamo a vivere in  una società maliziosa, maleducata e implicitamente (ma mica tanto) razzista, non è che si agisce rimuovendo i motivi, anche culturali, della discriminazione, ma la si accetta come un dato di fatto e, invece di tutelare le vittime, ci si adagia sullo status quo. Portando il ragionamento alle estreme conseguenze, dovremmo applicarlo in una molteplicità di casi: negare l’integrazione ai diversamente abili, magari rinchiudendoli in appositi istituti, per evitare che qualcuno li “irrida”; o rimandare tutti coloro che hanno la pelle scura direttamente in Africa, casomai destassero in qualche imbecille una qualche forma di malsana curiosità. A dire il vero, anch’io da ragazzina, essendo più alta della media delle adolescenti di allora, ho subito qualche scherzo di troppo (in genere piuttosto feroce): vista la cattiveria di alcuni miei coetanei, non so, cosa avrei potuto fare? Farmi tagliar via un pezzo di femore?

Via, siamo seri. Che il ragionamento non stesse in piedi, deve essere apparso chiaramente, visto che l’articolo è stato rimosso: con un briciolo di ritardo di troppo, dopo che in molti abbiamo avuto modo di deliziarci  con la finezza dell’argomentazione.

Non è stato rimosso, invece, l’intervento di Silvia Costa e Patrizia Toia, che si lanciano in spericolate argomentazioni filosofico – antropologiche e, pensose, si chiedono: “Il principio di non discriminazione per orientamento sessuale, assolutamente condivisibile sul piano umano, etico, politico e giuridico, può essere invocato per rendere indifferente lo status del matrimonio rispetto alla sua natura e cultura di compresenza di un uomo e di una donna, fondata sulla reciprocità della differenza sessuale e orientata (non certamente vincolata) alla procreazione, senza provocare una mutazione antropologica e un indebolimento della costruzione dell’identità sessuale di bambini e bambine?” Mutazione antropologica? Indebolimento della costruzione dell’identità sessuale di bambini e bambine? E su quali basi si reggono queste apocalittiche riflessioni? Naturalmente, molti commentatori (Anna Paola in primis) fanno notare che i gay nascono e sono educati in famiglie eterosessuali, quindi è palese che l’orientamento sessuale dei genitori non influisce affatto sul destino dei figli.  Ma, a parte questo, è evidente il sottotesto implicitamente denigratorio: noi non discriminiamo, ci mancherebbe altro (ricordate? “omofobo io? …” con quel che segue), ma casomai il matrimonio gay venisse sdoganato e si accettasse il principio dell’adozione anche per le coppie omosessuali, ne conseguirebbero una deleteria mutazione antropologica e un indebolimento della costruzione dell’identità sessuale. Da qui a dire che i gay sono malati (hanno un’identità sessuale “debole”, no?) o addirittura pervertiti (portatori di preoccupanti “mutazioni antropologiche”, leggi “corruzione dei buoni e sani costumi”), passa veramente poco. E quindi il cerchio si chiude nuovamente: l’omofobia che si giustifica con l’omofobia.

Le aggressioni violente, gli atti di bullismo, gli insulti e le discriminazioni verso i gay sono tremendi, il segno di un preoccupante ritardo civile e culturale della società italiana.  Ma altrettanto tremenda, se non di più,  è questa ipocrisia falsamente buonista che nasconde il pregiudizio dietro la cortina fumogena di una pseudocultura mal digerita. E’ il razzismo latente delle brave persone, la carità pelosa di chi non si interroga mai sul senso vero delle parole, la falsa pretesa di democraticità che vizia il dibattito con il vessillo delle proprie certezze spacciate per verità assolute. E che tutto questo alberghi nel campo “progressista”, francamente, mette un po’ tristezza.

 

 

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