«Cosa pensi delle critiche sui Rolling Stones troppo vecchi per il rock ’n’ roll? Ti fanno incazzare? Ti urtano?
La gente vuole denigrarti perché è calva, grassa e non riesce a muovere un passo, merda. È pura invidia fisica, pensare che non dovremmo trovarci qui. “Come osano sfidare la logica?” Se non ritenessi che tutto funziona, sarei io il primo a dire: “Scòrdatelo”. Ma noi combattiamo i pregiudizi della gente sull’essenza del rock ’n’r oll. Si pensa che sia una cosa adatta ai venti-venticinquenni, come se tu fossi un tennista che smette dopo tre operazioni all’anca. Noi suoniamo rock ’n’ roll perché è quello che ci ha sempre gasato. A Muddy Waters e Howlin’ Wolf l’idea del pensionamento sarebbe suonata ridicola. Vai sempre avanti. Perché no?» (dall’intervista di David Fricke a Keith Richards, Rolling Stone, 17 ottobre 2002)
Già, perché no? Questa storiella dei “dinosauri” del rock che dovrebbero gentilmente farsi da parte per essere al massimo incorniciati nelle foto d’epoca di un ideale museo del rock ’n’ roll, storiella che in molti hanno ripetuto meccanicamente prima e dopo il concerto di Roma al Circo Massimo, francamente sa di stantìo. Puzza di invidia, appunto, e, se vogliamo, anche di un inconfessato complesso di inferiorità. C’erano, una volta, i Rolling Stones, i Dylan, i Bruce Springsteen etc etc. C’erano, e per fortuna, ci sono ancora: per giovani e meno giovani. Non è colpa loro se i nostri tempi ci ammorbano con improbabili suore canterine e (pseudo)rapper senza ritmo, buoni giusto per i talent televisivi. E se, per sentirci ancora vivi con la musica, e oltre la musica, dobbiamo ricorrere ai grandi vecchi del rock.
Fra i settantamila che hanno presenziato al magnifico rito del Circo Massimo non c’erano solo attempati nostalgici. Accanto a me, accampati nei pressi della transenna davanti alla passerella, c’erano giovanissimi, giovani, adulti, gente di mezz’età e qualcuno decisamente anziano. Un vero, meraviglioso, intreccio di generazioni: la ragazza che si era fatta tutta una notte in treno per esserci, nonostante fosse prossima all’esame per entrare in una scuola di dottorato; quello che per ingannare l’attesa di era portato dietro “La critica della ragion pura”; l’ adolescente tutto tatuato con i versi delle canzoni di Vasco Rossi e quello che invece, per tatuaggio, aveva scelto il motto delfico “conosci te stesso” scritto in greco; i tipi strani con un look che sembrava direttamente uscito da Woodstock; la signora anzianotta che segue gli Stones dal ’65 e che, con voce un po’ tremula, si compiaceva che ancora una volta gli avessero fatto il regalo di un nuovo show; la mamma che aveva lasciato a casa la frugola di due anni perché “questo concerto non me lo potevo proprio perdere”, arrivata insieme alla sorella, vere adepte dure e pure dell’autentico rock (springsteeniane di ferro, fra l’altro); il distinto fan non più giovanissimo che, dalle prime note di Jumpin’ Jack Flash fino alla fine, ha cantato a squarciagola come se fosse posseduto e che, a un certo punto, indicando Jagger, ha esclamato: “non c‘è niente da fare, è un semidio”. Bisognerebbe che i redattori dei giornali, invece di scrivere pezzi scontati dove, tanto per dire qualcosa, si elencano i nomi dei vip presenti (come se del presenzialismo di Grillo o di Emanuele Filiberto, in questi frangenti, fregasse qualcosa a qualcuno), si facessero un giro, a occhi aperti e orecchie tese, in mezzo alla gente, se davvero vogliono raccontare, senza concessioni ad un folklore di maniera, quello che davvero è un evento di questo genere. Noi tutti, estranei fino a poco prima, amici per lo spazio di poche ore, abbiamo atteso, fraternizzando e condividendo acqua, bustine di zucchero, crema solare e ombrelli, sotto il sole implacabile del solstizio d’estate. E quando il momento è giunto, abbiamo fatto con entusiasmo la nostra parte, così come Jagger & Co hanno fatto, splendidamente, la loro. I concerti, quelli belli, sono sempre una cosa da pazzi, una parentesi di pura follia che ci restituisce una bella dose di ottimismo (persino, udite udite, di fiducia nel prossimo), e Dio sa se ne abbiamo bisogno, di questi tempi. Insomma sono terapeutici.
Avete presente Suor Cristina, quella che ripete “Ho un dono, ve lo dono”? Ecco, con tutto il rispetto per la sua retorica catechistica, i Rolling Stones, loro sì, hanno decisamente un dono, non so se divino o diabolico (probabilmente diabolico): e non vedo proprio perché dovrebbero tenerselo per sé, per accontentare i pregiudizi anagrafici di qualcuno e l’ipocrita giovanilismo di maniera che si diverte a contare le rughe di Jagger e Richards come se fosse quella fosse la faccenda fondamentale. Credo sinceramente che un pezzo come Gimme Shelter sia una specie di miracolo laico piovuto su questa terra da un luogo oltre il tempo e lo spazio: e la versione dell’altra sera, drammatica, spettacolare, potente, nell’intreccio delle voci di Jagger, della fantastica Lisa Fischer e di un intero Circo Massimo in delirio, valeva da sola il prezzo del biglietto, l’attesa di dodici ore, il rischio di insolazione e disidratazione, nonché di scompenso cardiaco dopo la corsa che mi ha portato (quasi) ai piedi della passerella. Esattamente il contrario di una patetica commemorazione di tempi che furono, si rassegnino pure tutti coloro incapaci di comprendere che certi pezzi rinascono, violentemente vitali, ogni volta che vengono suonati, come se fossero stati appena scritti. E parlo di Gimme Shelter giusto a titolo d’esempio, perché il concerto è stato tiratissimo, dall’inizio alla fine: Streets of Love, per dire, che forse non è il pezzo migliore degli Stones (ma in verità io l’ho sempre amata) mi ha fatto venire le lacrime agli occhi.
Tutto il resto (incluse le polemiche sui costi dell’organizzazione, sul prezzo del biglietto, sull’area archeologica per un giorno off limits,e tutti i motivi, più o meno perbenisti, di supposto scandalo, che si reggono sull’idea un po’ snob che il rock sia robaccia e non cultura), lasciatemelo dire dal profondo del cuore, è pura, semplice, scontata, inutile e noiosa chiacchiera. Da pensionati al bar, appunto.
Le belle foto dell’articolo sono di Elena Lanini. Le foto di Mick Jagger insieme con Lisa Fischer e dei due simpatici giovani hippy atterrati direttamente da Woodstock nel Circo Massimo sono di Francesca Burberi.