Ma a che cosa servono esattamente le prove Invalsi?

Dichiarazione del sottosegretario all’Istruzione Elena Ugolini, a proposito delle prove Invalsi: ““Una prova nazionale che permetta di avere dei risultati comparabili, aiuta ogni singola scuola ad  avere un punto di paragone esterno per capire  i propri punti di forza e di debolezza e consente ai ragazzi di confrontarsi con i loro coetanei a livello nazionale. Questa valutazione non sostituisce quella formativa, interna, che spetta solo ai docenti  nel loro lavoro quotidiano, ma permette di uscire da un ‘autoreferenzialità’ che sicuramente non aiuta la scuola a diventare quell’ ascensore sociale capace di mettere a frutto i talenti e, agli studenti, di acquisire gli strumenti per proseguire con successo gli studi”.

A me (e non solo a me, in realtà) pare un’affermazione profondamente contraddittoria: se la valutazione è inerente al sistema (e non all’alunno), allora perché inserirla fra le prove di esame e conferirle un peso determinante nell’attribuzione del voto finale? Non si scaricano in questo modo le carenze strutturali sulle spalle del singolo allievo? E alla fine, chi riesce comunque ad ottenere una valutazione alta nel test in un contesto sfavorevole lo fa per merito suo (ah il merito!) o perché gode di condizioni di partenza migliori, a prescindere dalla scuola? Alla faccia dell’ascensore sociale.

Ipotesi: i risultati complessivi degli studenti di un istituto X sono significativamente insoddisfacenti, magari in matematica. Di chi è la responsabilità? Ammettiamo che in questo modo la scuola in questione individui, appunto, un proprio “punto di debolezza”, tanto per usare le parole del sottosegretario. E allora? che cosa si fa, esattamente, dopo? Ecco, è proprio qui che perdo di vista la logica dell’intera faccenda. Si fa un pubblico richiamo agli insegnanti indegni/incapaci? Si sostituiscono, a chiamata e magari offrendo significativi incentivi economici (!), con professionisti notoriamente competenti, come con gli allenatori di calcio quando non ottengono i risultati promessi? Si fa tutti insieme, in collegio dei docenti,  una seduta di autocoscienza collettiva, indicando i responsabili al pubblico ludibrio e invitandoli a redimersi? Oppure si lascia alla “mano invisibile” del mercato scolastico il compito di punire gli istituti o le singole sezioni inadempienti, permettendo ai genitori di scegliere al momento dell’iscrizione le soluzioni che sono state certificate come migliori sulla base del test? E in questo caso, dove sono stati pubblicati i risultati per il necessario confronto e l’indispensabile informazione agli “utenti/clienti” della scuola (si, parlo dei risultati nazionali e locali del 2008, 2009, 2010, 2011)? e se, come nella mia città, in virtù della razionalizzazione della rete scolastica e dei tagli alla spesa, di scuole medie ce n’è una sola, che razza di scelta alternativa sarà mai possibile per le famiglie? ma poi, sarebbe giusto? Non torneremmo alle scuole e sezioni di serie A e di serie B, come accadeva trent’anni fa? E come si collegano i risultati del test al resto del meccanismo che governa la scuola (reclutamento dei docenti, loro valutazione, investimenti nel campo dell’istruzione, ridimensionamento dell’offerta e accorpamento degli istituiti, meccanismi di passaggio da un livello di istruzione all’altro, autonomia scolastica etc etc)? Non sarebbe necessario, a questo punto, un dibattito pubblico motivato e finalmente serio che affronti una buona volta l’impatto che le scelte politiche (e le evidenti responsabilità di chi ha operato le suddette sceltein materia di istruzione attuate negli ultimi vent’anni hanno avuto sul sistema, a prescindere dall’impegno/motivazione/professionalità del singolo docente o dirigente scolastico?

Insomma a che cosa servono, davvero, i test INVALSI?

Mi si dirà, astrattamente: non fare la gnesci, lo sai che le prove INVALSI non servono a nessuna delle finalità presenti nel tuo elenco.  La singola istituzione scolastica dovrebbe, semplicemente, analizzare i risultati e poi prendere i provvedimenti del caso, modificando la didattica in funzione del test (ed è tutto da dimostrare che uniformare la prassi didattica per ottenere una migliore performance alla prova nazionale sia scelta buona e giusta). Ma sulla base di quali parametri e con quali strumenti? E, visto che i test sono stati introdotti nel 2008, vi risulta che questo passaggio sia mai stato fatto, in modo sistematico e trasparente, in ogni singola scuola del regno? Magari prendendo in considerazione le competenze in entrata degli alunni e verificando i loro effettivi progressi nel corso dell’iter scolastico, relativamente anche ai fattori contestuali (provenienza socio-economica, retroterra culturale etc etc) che possono influenzarli. Francamente, nello psicodramma collettivo che ormai da quattro anni si realizza a inizio estate non vedo niente di tutto questo.

Vedo piuttosto una sorta di rito di passaggio, opportunamente amplificato dai media, che si realizza sulla base dei valori imperanti (che così vengono introiettati profondamente dai ragazzi): una sorta “scientismo neopositivista” in salsa pedagogica, per cui i risultati del test sono “oggettivi” e incontrovertibili; il mito della “competenza”, della “performance” misurabile in maniera standardizzata e quantificabile, trascurando qualsiasi tipo di “capacità” divergente, autonoma, creativa, complessa,  sia dal lato del docente (che deve per forza adattare la propria didattica ai test) , sia da quello dell’alunno (alla fine convinto che la cultura non sia “problema” e riflessione ma certezza acquisita una volta per tutte, il cui valore sia misurabile in termini di punteggi e percentuali); la competizione per il punteggio migliore come scopo prevalente dell’educazione, in nome della cosiddetta “meritocrazia” la quale, se declinata in modo astratto e tecnicistico, non fa altro che certificare le disuguaglianze di partenza. E tutto questo propagandato in modo demagogico perché l’opinione pubblica si beva la favoletta del miglioramento eterodiretto della disastrata scuola italiana grazie alle virtù taumaturgiche dei test INVALSI (e dei loro esperti che, naturalmente, ne sanno sempre di più di chi nella scuola vive e lavora da una vita).

Che la faccenda, alla fine, sia poco seria, lo certificano proprio i ragazzini, accorsi in massa su Twitter a perculeggiare il test (vedi immagine in apertura di articolo): e poi, dopo la risata liberatoria condivisa via #hashtag #invalsi, tutti al mare. Ma i sottosegretari ce l’hanno twitter?

 

 

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9 risposte a Ma a che cosa servono esattamente le prove Invalsi?

  1. Mi permetto di esprimere due osservazioni, premettendo che ho apprezzato il tono con il quale viene affrontato il tema. Abbastanza raro nel contesto delle usuali reazioni isteriche che questi esercizi di misurazione sembrano sollevare.

    1. La risposta alla domanda “a che cosa servono, davvero, i test INVALSI?” non va cercata nelle dichiarazioni dei sottosegretari. Ne’ nelle dichiarazioni di alcun politico.

    2. “perché inserirla fra le prove di esame e conferirle un peso determinante nell’attribuzione del voto finale?”
    La risposta a questa domanda é molto meno “politica” di quanto si possa immaginare. Alcuni ricercatori desiderano che gli studenti affrontino il test con il massimo della serieta’ possibile. In letteratura si parla appunto di “high stake testing”. Questo obiettivo viene raggiunto facendo dipendere il successo scolastico dai risultati dei test.
    Un intero filone di ricerca sostiene che questo legame sia controproducente per la qualita’ della misurazione ed i possibili incentivi perversi offerti alle suole ed agli insegnanti.

    Trovo inadeguato confondere questo aspetto, gia’ ampiamente dibattutto nelle scienze sociali, con il dibattito sui possibili usi valutativi dei risultati e con la (mi permetto di sostenere sterile) critica al “neopositivismo pedagogico”.

  2. uqbal scrive:

    A me sembra che questo post si sia fatto prendere un po’ dalla polemica.

    Sono d’accordo sul fatto che come prova d’esame non abbia senso, ma forse la ratio di questa scelta la si può intuire: le prove Invalsi sono spesso oggetto di boicottaggio, più o meno aperto. In questo modo i ragazzi sono “costretti” a farlo bene. Non è un granché di soluzione, sono d’accordo.
    Probabilmente, poi, c’è anche una ragione di costi: farlo all’interno degli esami costa meno che a parte, ma ciò non toglie che agli studenti sia fatta una pressione per certi versi indebita. Anzi, è vero che si rischia di scaricargli addosso possibili falle del sistema.

    Per il resto dissento con forza.
    “E alla fine, chi riesce comunque ad ottenere una valutazione alta nel test in un contesto sfavorevole lo fa per merito suo (ah il merito!) o perché gode di condizioni di partenza migliori, a prescindere dalla scuola?”

    Questo non lo può stabilire l’Invalsi. Lo deve fare la scuola, che con le prove Invalsi intanto ha ottenuto un quadro più chiaro della situazione.

    “Ipotesi: i risultati complessivi degli studenti di un istituto X sono significativamente insoddisfacenti, magari in matematica. Di chi è la responsabilità? Ammettiamo che in questo modo la scuola in questione individui, appunto, un proprio “punto di debolezza”, tanto per usare le parole del sottosegretario. E allora? che cosa si fa, esattamente, dopo?”
    Di nuovo, questo non può e non deve stabilirlo l’Invalsi (che non ha questa pretesa): lo deve stabilire la scuola stessa in auto-valutazione, e servirebbe anche un ispettorato non inquisitorio come il nostro (che oggi si muove -poco- solo sulla base di esposti in cui si denuncia qualcosa), ma analitico, che affianchi e aiuti la scuola. Ovviamente io parto dal presupposto che l’autonomia dovrebbe essere una cosa vera, reale e profonda, non un gagliardetto ministeriale.

    In punta di logica, il fatto che non si sappia cosa succederà dopo gli esiti dell’Invalsi, non inficia in nulla la validità dei risultati scaturiti dalle sue rilevazioni (e cmq si sa, cosa succederà, rebus sic stantibus: niente).
    Se si dicesse che le prove invalsi, per come sono strutturate, rischiano di sminuire il lavoro di persone competenti, questa critica avrebbe senso.
    Anzi: se a seguito delle ristrutturazioni (vabbè, chiamiamole pietosamente così), le prove Invalsi mostrassero un calo delle performances, gli oppositori di quelle ristrutturazioni balorde ne ricaverebbero un argomento molto forte contro quei tagli.

    “E, visto che i test sono stati introdotti nel 2008, vi risulta che questo passaggio sia mai stato fatto, in modo sistematico e trasparente, in ogni singola scuola del regno?”

    Ancora: questo non toglie credibilità alle prove Invalsi, ma alle scuole che non sono evidentemente nella condizione di reagire a questi stimoli. E secondo me una ragione c’è: zero autonomia.
    Il resto, ovvero l’imperante scientismo positivista, il mito della standardizzazione, la demagogia mi sembrano o mulini a vento (ché nessuno si esprime davvero in questo senso) o paure mal indirizzate: se giornali e riviste parlano in un certo modo di ciò che emerge dalle prove, me la prenderei con giornali e riviste, non con l’Invalsi.

  3. floria1405 scrive:

    Mah, guarda, tutto sommato mi pare che non siamo così distanti. Non dico mica che l’Invalsi deve fare il lavoro delle scuole. Dico che nessuno fa questo lavoro di monitoraggio, analisi, etc etc. Il fatto è che, appunto, una volta svolta la prova, a parte il suo effetto sul voto di esame, non si sa bene che fine facciano i risultati e a quale scopo vengano utilizzati. “Se” vengono utilizzati per qualcosa che non sia propaganda mediatica. Restano così, sospesi, e non vengono messi in relazione, come ho scritto, con tutto il resto, comprese le varie scelte politiche in materia di istruzione.

    • uqbal scrive:

      Io non credo che sia per caso, cmq, che rimangono in sospeso: se qualcuno provasse a trarre delle conclusioni serie da quelle prove, rischieremmo seriamente di vedere le scuole andare a fuoco…e non sarebbe un bello spettacolo…

    • Dico che nessuno fa questo lavoro di monitoraggio, analisi, etc etc. Il fatto è che, appunto, una volta svolta la prova, a parte il suo effetto sul voto di esame, non si sa bene che fine facciano i risultati e a quale scopo vengano utilizzati”

      Questo (per fortuna) non é vero. Basta una ricerca superficiale su Google Scholar (qui http://goo.gl/ZG8UV) per vedere quanto i dati Invalsi siano utilizzati (ed essenziali) in ambito scientifico.

      • uqbal scrive:

        Non posso parlare per Floria, ma nel mio caso intendevo dire che non cambia molto a livello di interventi scolastici mirati. Sono contento che ci sia un’ampia letteratura su quei dati, che in parte consulto io stesso, però rimane il fatto che le scuole non usano li granché per migliorarsi, ammesso che possano fare qualcosa, considerando il loro grado di autonomia.

        • floria1405 scrive:

          Eh sì, uqbal, mi hai tolto le parole … dalla tastiera XD
          Aggiungerei che, frequentando in questa fase della mia vita un dottorato in sociologia, ho la netta impressione che esista uno iato notevole fra l’accademia (caratterizzata, come dire, da una certa autoreferenzialità “scientifica”) e la prassi concreta che si attua nelle scuole.

  4. Pingback: Catepol 3.0 » #invalsi, il vecchio forever alone, Pittulongu e Twitter

  5. uqbal scrive:

    Ho scritto un post sugli esami! Sarei felice se gli dessi un’occhiata! Grazie!

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