Novembre 2013. Inizio terapia a scalare per disintossicazione da Facebook

Da qualche giorno sono decisamente poco attiva nel variegato e caotico mondo di Facebook. Prima di tutto, perché ho altro da fareanche su Internet, ma non solo su Internet (c’è tutto un mondo intorno – cantavano un tempo i Mattia Bazar – nonostante la digitalizzazione spinta della nostra realtà, e vale ancora la pena esplorarlo prima che sia definitivamente inghiottito in qualche fantastico buco più o meno cyber). In secondo luogo perché, lo confesso, Facebook per me, nonostante la quantità  e la varietà dei miei contatti, sta diventando abbastanza noioso. Infine sento di aver bisogno di riconquistare adeguati livelli di selettività e concentrazione rispetto a quello che è davvero importante sapere e condividere: Facebook è incredibilmente rumorosoe ogni tanto ci vuole silenzio, per ritemprarsi.

Sono tre ragioni che in realtà rispondono ad un’unica necessità, quella di una rinnovata strategia dell’attenzione, un argomento sempre più frequentemente tematizzato nelle discussioni  di guru e specialisti della comunicazione online. Non sono la sola ad avvertire il disagio di una modalità di connessione che, sempre più, tende a passare solo ed unicamente da Facebook e che, per sua natura, appare rapida, sincopata, superficiale, invadente. Senza contare che crea dipendenza: quasi nostro malgrado, ci ritroviamo sempre più spesso con il cellulare o il tablet in mano, nelle circostanze più svariate per … cosa, esattamente? mettere in piazza compulsivamente frammenti della nostra vita (basta uno status, un commento, una foto) senza viverli mai davvero ma rappresentandoli prima di goderne sul serio. Beh, è un gioco divertente fino a un certo punto: poi rischia di diventare persino controproducente, se non altro perché alla fine la visibilità portata all’eccesso conduce ad una  perversa forma di anonimato (ci ricorderemo mai davvero, dopo cinque minuti, dell’ennesima brutta foto pubblicata via Instagram, dell’ennesimo lol cat condiviso dal vicino di casa, del meme stupido che rimbalza da una bacheca all’altra?). Abbiamo tutti bisogno di riconoscimento, ma francamente non mi va di affidare la mia autostima agli algoritmi del social network (insomma, imitando i Morti di Fama dell’omonimo libro di Loredana Lipperini e Giovanni Arduino). Tralascio poi di sottolineare quanto facebook incoraggi la generale propensione al pettegolezzo becero e alla discussione inutile che non sposta di un millimetro opinioni e pregiudizi dei partecipanti: mi limito a notare che il tempo perso non si ritrova più. 

No, non cancellerò l’account, né ho intenzione di disattivarlo: troppa informazione passa di lì, per tagliarsene fuori del tutto Ho però intenzione di assecondare la noia spontanea che Facebook (o meglio un certo suo utilizzo massificato e conformistico) ormai riesce a comunicarmi, limitando i tempi di accesso e le attività, per tornare a privilegiare forme di scrittura e condivisione meno volatili e immediate (ad esempio recuperando il blog). Insomma, da un lato Facebook torna ad essere per me  essenzialmente strumento di aggregazione di contenuti, dall’altro resta terreno di caccia  e osservatorio sulla realtà, ma perdendo per quanto mi riguarda quel privilegio rispetto ad altre forme di socializzazione e condivisione via Web, privilegio che Facebook si è conquistato facendo leva sulla pigrizia intellettuale di una bella fetta di utenti inconsapevoli.

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