Viva la Storia!

Clio Musa della Storia Artemisia Gentileschi

Clio, Musa della Storia

Il «nuovo» Esame di Stato non mi piace affatto, ma la levata di scudi che inferisce dalla scomparsa della specifica traccia di Storia nella prima prova addirittura la cancellazione tout court dello studio della Storia dal curriculum di studio, mi pare una grande sciocchezza.

In genere solo un ragazzo su cento svolgeva il tema di storia (vedere i dati presentati in questo dossier di Repubblica dello scorso anno): e da questo dato cosa dovremmo concludere? Che già prima la storia non si studiava o si studiava male? Il che può essere, se valutiamo la situazione attuale del dibattito pubblico (cercate di cogliere l’ironia, per favore).

Inoltre, nella simulazione ministeriale che abbiamo  svolto lo scorso 19 febbraio, la storia era largamente presente nella forma dell‘argomentazione guidata. Imparare ad argomentare in modo documentato mi pare fondamentale, anche e soprattutto in relazione allo studio della storia. Studio che, in ogni caso, non è stato abolito. Almeno per ora.

Le motivazioni della scarsa consapevolezza storica dell’italiano medio sono altre e hanno origini lontane. Quindi, di che cosa stiamo parlando esattamente? E, soprattutto, di che cosa parlano fior di intellettuali che sembrano ignorare del tutto quel che avviene nelle aule scolastiche? Difendiamo lo studio della storia, ma non attaccandoci al pretesto del tema di storia che già ai miei tempi quasi nessuno svolgeva.

Vediamo in dettaglio la mia posizione.

Ovviamente non sto dicendo che lo studio della storia non debba essere difeso e mantenuto. Dico che attaccarsi al tema di storia, un tema che quasi nessuno svolgeva (al netto dei meritori casi singoli), non colpisce il vero bersaglio. Reintroduciamo pure il tema di storia, per il suo valore simbolico: siamo sicuri che l’insegnamento della storia (indispensabile e basilare, oggi più di prima) se ne gioverà davvero (sempre al netto dei singoli casi)? Mi verrebbe da dire: evitiamo di assumere atteggiamenti tardivi da anime belle, mentre da tempo, da molto tempo, i buoi sono scappati dalla stalla.

Dunque: prima di tutto come si spiega lo 0,6% di alunni che hanno scelto il tema di storia nel 2010,  fra l’altro spesso svolgendolo malissimo (sottolineo che questa mia ultima affermazione può essere legata solo alla mia esperienza particolarmente sfortunata di commissario di italiano, quindi va presa “cum granu salis”)? Percentuale che non è variata di molto negli anni successivi (così come non è migliorata la qualità).

In secondo luogo, perché non stracciarsi le vesti già nel 2010, quando le ore di storia sono state diminuite dalla riforma Gelmini (da tre a due ore settimanali proprio in quinta), accanto all’abolizione de facto della geografia, accorpata al biennio nel fantastico ircocervo della cosiddetta “Geostoria”?

Terzo, se il vulnus allo studio della storia è così grave oggi, come la mettiamo con l’assenza diffusa di consapevolezza storica nelle generazioni adulte (quelle, cioè, che il tema di storia potevano sceglierlo – e non lo sceglievano in larghissima maggioranza), nonostante giornate della memoria, celebrazioni e minuti di silenzio vari? A titolo di esempio, riporto il fantastico tweet del renziano Davide Serra, prontamente rintuzzato da Wu Ming

Davide Serra, tweet

La profonda cultura storica della nuova classe dirigente.

Il giovanotto si deve prendere una l'aura

La copertina del libro di Graziella Priulla e Giuseppe De Gregorio

Io vorrei che tutti, ma proprio tutti, leggessero questo triste pamphlet del 2006 (!), Il giovanotto si deve prendere una l’aura, autori Graziella Priulla e Giuseppe Di Gergorio. Dalla quarta di copertina:

Con quale bagaglio culturale i ragazzi italiani escono dalle scuole superiori? Allarmata per il rapporto sempre più conflittuale degli studenti con la lingua italiana; per le loro crescenti lacune nella storia recente del paese e nella stessa basilare educazione civica; per la loro evidenti difficoltà nel ragionamento logico e nella concentrazione, una professoressa universitaria ha deciso di sottoporre i frequentanti il suo corso a un semplice test: la lettura delle prime pagine dei giornali quotidiani. I risultati sono stati deprimenti: solo 18 su 122 studenti riescono a comprendere tutti i titoli della prima pagina; nella metà e più dei casi la percentuale degli errori e delle mancate risposte oscilla tra il 25 e il 50%; degli altri, il 20% non decodifica più della metà dei titoli, il 7% non ne decifra quasi nessuno.

Insomma, la cancellazione del tema di storia dalle tracce dell’Esame di Stato è davvero l’ultimo dei problemi: se guerra deve essere, facciamola bene, a tutto campo, senza attaccarsi a quella che di fatto è una battaglia marginale,  utile solo a lavarsi un pochettino la coscienza rispetto all’indifferenza e all’ignoranza che buona parte della classe intellettuale di questo paese ha dimostrato nei confronti dei travagli della scuola italiana.

Noto a margine che nella simulazione del 19 febbraio, la storia è presente come consapevolezza storica nella bellissima pagina di Pavone offerta all’analisi degli studenti. Nella parte di produzione autonoma si chiede:

A partire dall’affermazione che si legge in conclusione del passo, «Al passato ci si può volgere, in prima istanza, sotto una duplice spinta: disseppellire i morti e togliere la rena e l’erba che coprono corti e palagi; ricostruire […] il percorso a ciò che oggi siamo, illustrandone le difficoltà, gli ostacoli, gli sviamenti, ma anche i successi», rifletti su cosa significhi per te studiare la storia in generale e quella contemporanea in particolare».

Dico la verità: se i miei alunni fossero in grado di dare una risposta sensata a questa domanda, cosa che spesso non si dava in passato (e lo dimostra l’ondata di populismo che ci travolge), vorrebbe dire che tutti abbiamo lavorato bene, molto meglio di quanto in realtà lavoriamo davvero.

Concludo dicendo che la storia dovrebbe essere comunque presente: nella STORIA della letteratura, nella STORIA della filosofia, nella STORIA dell’arte e anche, perché no, nella STORIA della Scienza. Aver disarticolato la consapevolezza storica dello studio dei fenomeni culturali, a favore dei temi inter e transdisciplinari, dei moduli etc etc, è responsabilità in primis della riforma Berlinguer. Allora era necessario indignarsi (e qualcuno lo ha fatto): quella di oggi è la diretta conseguenza di un’impostazione affermatasi a quei tempi, ovvero la scuola delle «competenze» contro la scuola delle «conoscenze», queste ultime spesso ridicolizzate come sterile nozionismo, con l’effetto di rendere i nostri alunni non solo più ignoranti, ma alla fine anche più “incompetenti”.

E ora voglio dirlo forte e chiaro.  La faccenda delle buste all’orale, nella quale nessuno di noi, lavoratori della conoscenza, ancora si raccapezza,  è il vero scandalo di questo esame, assieme all’abolizione della terza prova, nella quale, accanto alle domande nel corso del colloquio orale, normalmente la storia trovava spazio e obbligava anche il 99% degli studenti che non sceglieva il tema storico a fronteggiare una conoscenza minima della disciplina.

P.S. In questa intervista Andrea Giardina dice alcune cose condivisibili, ma, purtroppo, dimostra di non essersi ben documentato sulle caratteristiche e le tipologie dell’attuale prima prova. Non ha capito la risposta del Ministro, perché non sa a che cosa effettivamente si riferisce. Ulteriore prova che spesso anche i migliori tendono a parlare per sentito dire, il che non fa bene alle cause, anche giuste, che vogliono difendere.

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