Ma quanti amici hai, davvero? Su Facebook, il numero di Dunbar e le illusioni del narcisismo in Rete.

Vanitosa! Narcisista! Presuntuosa! Una persona qualsiasi che sventola come un trofeo l’inquietante numero (ad oggi) di 2906 “amici” su Facebook. Vergogna! Che cosa me ne farò, di tutti questi contatti, non lo so davvero. Già da tempo mi sono accorta che le mie interazioni si limitano ad un gruppo ristretto di persone: ci diamo ragione l’uno con l’altro, ci scambiamo reciproci like, condividiamo le nostre robette, commentiamo con faccine e amenità varie le nostre foto e i nostri aggiornamenti più o meno seriosi, più o meno spiritosi.

Il numero di Dunbar mi mette in guardia. Come qualcuno forse saprà,

il numero è stato introdotto dall’antropologo britannico Robin Dunbar, il quale ha individuato una correlazione tra le dimensioni dell’encefalo dei primati e quelle dei gruppi sociali degli stessi. In seguito, applicò la sua teoria usando le dimensioni medie dell’encefalo umano e, evincendolo dai risultati degli studi sui primati, giunse alla conclusione che gli esseri umani sono in grado di mantenere solo 150 relazioni sociali stabili (fonte: Wikipedia).

Insomma, le persone con cui possiamo avere relazioni significative sono 150, più o meno. E questo limite è invalicabile, anche per la tecnologia dei social network.

Il fatto è che, secondo Dunbar, si tratterebbe di un limite invalicabile e universale, poiché inscritto nella nostra biologia, e più precisamente nel nostro cervello. Un tetto valido sia per le società fondate su caccia e raccolta, sia per i villaggi inglesi del ‘700, sia per i social network online. Insomma, possiamo anche accumulare migliaia di amici su Facebook, ma riusciremo realmente a relazionarci solo con 150 di questi contatti. E non c’è Zuckerberg o altra innovazione tecnologica che possa cambiare le cose. (fonte: Wired). 

Tiriamo qualche conclusione pratica. Sappiamo che l’algoritmo di Facebook decide per noi quali contenuti mostrarci in home, a meno che non cerchiamo di effettuare qualche correzione manuale agli automatismi del sistema. In particolare, quello che mi interessa qui è il criterio della cosiddetta “affinity”:

Quanto più mostriamo di avere un rapporto stretto con un utente/pagina, tanto più vedremo le cose che scrive. L’affinità viene determinata essenzialmente da tre elementi:

– dalla lista nella quale decidiamo di mettere un amico (es. famiglia o conoscente)
– dall’attivazione del tasto “follow” (visibile sulla cover di ogni utente)
– dall’attenzione mostrata verso le notizie dei contatti, in termini di interazioni effettuate. (fonte: Vincenzo Cosenza)

Se noi interagiamo (in ragione del numero di Dunbar) più frequentemente con un numero ristretto di persone, i loro aggiornamenti compariranno più spesso sulle nostre pagine. Se i loro aggiornamenti compariranno più spesso, noi interagiremo più spesso. E così via, in un paradossale loop. Quindi, alla fine,  ci ritroveremo chiusi in una cricca di poche persone, con scarse possibilità di mettere il naso fuori: dalle nostre credenze, dai nostri pregiudizi, dai nostri bias cognitivi (sul tema dei bias cognitivi parlerò in altro post)

Oimmèna, che lagna! ma io sto in Rete per mettermi in discussione, per imparare qualcosa di nuovo, per confrontarmi con l’imprevisto, per non far ammuffire il cervello. All’inizio è stato così, com’è che ora il meccanismo si inceppa?

2906 amici, ma quanti fra loro leggono i miei post su Contaminazioni? Quanti li condividono? Quanti li citano nei loro blog, se ancora ne hanno uno? quanti li commentano? E, viceversa, quanti contenuti mi perdo, per me interessanti, in ragione del fatto che facebook (o qualunque altro servizio di social networking) decide di non mostrarmeli? In definitiva quello che faccio qui sul blog non è la celebrazione illusoria della mia perfetta autoreferenzialità comunicativa?

Quando Splinder ha chiuso, ho perso un patrimonio di relazioni costruito in anni di pratica di Rete: un vero e proprio “capitale sociale”, fatto di link, di citazioni, di rimandi incrociati sulla base del quale avevo, a poco a poco, costruito la mia credibilità in Rete e che mi garantiva un numero costante di accessi al blog. Ora i post si condividono sulle bacheche di facebook, ma le loro possibilità di diffusione reale e la “fidelizzazione” dei lettori del blog sono molto più complicate. A prescindere dal valore e dal significato del contenuto della condivisione.

Non che quanto scrivo sia roba epocale, intendiamoci. Ma quello che capita a me, capita anche a chi è più bravo e competente di me. Non so se la conoscenza diffusa se ne avvantaggi, temo di no.  Pochi hub informativi intercettano e redistribuiscono la gran quantità di informazioni e meme che circolano in Rete, gli altri si accontentano delle briciole: il risultato è spesso di una monotonia disperante, peggio di quando la televisione era in bianco e nero e le reti solo due.

[Un po’ di link sul tema: ma quanti amici hai davvero?]

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